111 "Non si vide alcuno più grande di Giovanni Battista".
112 Giorno e mese e numero di repertorio assenti nel manoscritto.
113 Difficile dire se si tratti, in assoluto, della prima scuola costituita in territorio di Vedeseta per avviare i bambini al leggere e allo scrivere o se Avolasio - la frazione più lontana dal centro - venga in quel momento dotata, grazie alla sensibilità e al lascito di un sacerdote, di qualcosa di cui i ragazzi di Vedeseta potevano già usufruire da tempo.
114 Aggiunta di mano di don Artusi.
115 Vuoto nel manoscritto.
116 Manca l'indicazione del numero.
117 L'estensore di questa parte del Chronicus, o l'ispiratore don Artusi, oltre a far trasparire tutta l'avversione nei confronti dell'incameramento dei beni ecclesiastici adottato dal fresco Stato unitario con leggi del 1866 e 1867, sembrerebbero avere nel mirino qualche personaggio "eminente" ben preciso che a noi non è dato di conoscere.
118 Si potrebbe anche leggere Polano.
119 Cartelle del Deposito Pubblico.
120 Mansioni.
121 Più probabile nella seconda metà, almeno stando alla data di morte.
122 Girolamo da Praga.
123 Beneficenze.
124 Di questo casato Arrigoni, che non solo la tradizione orale ma anche Atti notarili quattrocenteschi danno, senza ombra di dubbio, insediato alla Lavina, almeno con un ramo che al soprannome "Galina" aggiungeva "degli Orsi" ("dicte Galine de Ursis de la Lavina", Atto di Bernardino q. Costanzo Salvioni di Sottochiesa) apprendiamo dal Chronicus una loro presenza anche in frazione Avolasio, che, d'altra parte, nello Stato d'anime del 1568, in Atti della Visita... di A. Arrigoni , risulta pressoché abitato in esclusiva da famiglie con quel cognome. Stando a questa nota, almeno con un ramo gli Arrigoni Galina erano addirittura stanziati a Cantel alto (Cantélólt), località alpestre sopra Prato Giugno a 1250 m e ora da tempo proprietà Locatelli Rosa.
125 Fu, forse, in quella occasione che vennero coperti i personaggi a mezzo busto posti ai piedi della Croce e raffiguranti il benemerito Parroco Gio. Pietro Locatelli e suo fratello Giorgio Maria, Notaio protoapostolico, della famiglia Pasinetti di Olda. Come già detto in altra nota, i due committenti del quadro sono ritornati alla luce durante il lavoro di ripulitura e di restauro del quadro avvenuto nel 1994/1995.
126 Armadio.
127 Potrebbe esservi qualche dubbio se si tratti della cappelletta situata lungo l’antica mulattiera, tuttora esistente, o, più probabilmente, quella posta sulla strada carreggiabile, demolita quando la sede stradale, passata alla Provincia, venne allargata nei primi anni sessanta del secolo scorso.
128 Si sente un po’ di delusione nella penna del lavinese Giuseppe Locatelli, estensore di questa parte di Chronicus.
129 Santissimo.
130 Si tratta, con ogni probabilità, della cosiddetta basla, calotta di legno che nella lavorazione degli stracchini serviva per la frantumazione della cagliata.
131 Il titolino è un po’ fuori luogo e segnala, se mai ce ne fosse bisogno!, la forte personalità di don Artusi sempre pronto a impegnarsi e anche a mettere mano al portafoglio per integrare, ma non in maniera troppo schiva!, eventuali carenze di cassa.
132 Il costume della raccolta domenicale nelle case delle uova la cui vendita serviva a finanziare piccole necessità della parrocchia è durato, come altre costumanze, fino agli anni 60 del secolo appena trascorso.
133 Vedi nota n. 70.
134 Polano?
135 Gli estremi dell’Atto sono rimasti nel pennino del compilatore.
136 A voler essere pignoli, stando a Carminati e Pesenti, pag. 99 op. cit., la sigla dell'accordo, firmato, rispettivamente per Milano e per Venezia, dai "ministri plenipotenziari conte Beltrame Cristiani e cavaliere Francesco Morosini" è del 16 agosto.
137 Antica unità di misura di peso del valore variabile a seconda dei tempi e dei luoghi, compreso fra 330 e 550 g. (Enciclopedia Rizzoli Larousse, 2003 RCS Quotidiani S. P. A., Milano).
138 Il manoscritto, certo per distrazione del compilatore, ripete la numerazione n. 4.
139 Manoscritto non pulitissimo che lascia qualche incertezza sul diametro della campana, certo almeno di 1 metro.
140 Sacrestia.
141 Si tratta dell’attuale cimitero.
142 La splendida mulattiera in acciottolato, visibile ancora in un tratto, che servirà la frazione fino a fine degli anni 60 del secolo appena trascorso quando Reggetto venne dotata di strada carrozzabile.
143 Bultera?
144 Oggi Calvairate è in piena città di Milano.
145 "Colmine".
146 Vedi nota n. 86.
147 Questo lampadario, staccatosi dal soffitto, è purtroppo andato in frantumi una trentina di anni fa.
148 Forse un lapsus al posto di “non piccola” com parrebbe evincersi, oltre che dalla cifra in sé, anche dal giudizio che la precede "grave spesa". La casa, successivamente rivenduta, si trovava in centro, all’inizio della viuzza che dal “Lavello” va alla fontana vecchia.
149 A margine della pagina una mano successiva ha aggiunto, criticamente, a matita "è un po’ troppo poco".
150 La stessa mano di cui alla nota precedente ha aggiunto qui un commento fulminante, anche se un po’ sibillino: "Qui gloriatur in Domino, glorietur".
151 L’uso.
152 Nota correttiva con ogni evidenza di mano autografa di don Artusi.
153 La nota di pag. 172 del manoscritto specifica come e perché in occasione della 1a Visita pastorale del Card. Ferrari non si fecero spese per parare la Chiesa.
154 Vuoto nel testo.
155 Calcestruzzo.
156 Cemento Portland, inventato nel 1824 da un muratore in Inghilterra e rapidamente diffusosi. Deve il suo nome alla somiglianza con la roccia di Portland, un'isola inglese.
157 Non si è riusciti a verificarne l’esistenza.
158 Si potrebbe anche leggere Olbera.
159 "Impiegati".
160 "Latticini", ovviamente.
161 "Riuscì".
162 Nel Chronicus è frequente l'uso di questo termine - che potrebbe apparire quasi come un piccolo tic linguistico - con il significato, oggi desueto, di "adatto", "di circostanza".
163 "Plinto", basamento di pilastro.
164 Scanalato.
165 Secondo il Dizionario dei dialetti bergamaschi... di A. Tiraboschi, si tratta del color giallo paglia, giallo scolorito.
166 Questa parte finale del capitolo IV e tutto il capitolo successivo, esclusa la prima riga del titolo, risulta di grafia diversa da quella di Giuseppe Locatelli. Probabilmente è di mano dello stesso don Carlo Artusi che, da qui in avanti, si alterna più frequentemente sulle pagine del Chronicus col primo estensore. Al contrario del lungo periodare proprio di quest’ultimo, don Artusi usa un linguaggio più nervoso, più spezzato.
167 Stracchino?
168 Lettura incerta
169 Curioso. Probabilmente un lavoro fatto fuori valle.
170 Stracchini?
171 Originale non chiarissimo per parola corretta.
172 Non è dato sapere di quale mulino si parli. Improbabile che si tratti di quello sull'Enna, oggi ridotto in macerie, conosciuto come Mulino del Merlo ("Merlotto" nelle carte dell'800). Più plausibile si parli del cosiddetto Mulino del Leone, alla foce del torrente Mulino, col suo ponte posto sul percorso Lavina-Ponte dei Senesi. Il Mulino del Leone nel catasto ottocentesco è anche chiamato Mulino del Bezza ma un tempo era anche conosciuto come Mulino del termine, per la presenza nella sua vicinanza di un grandioso capotermine confinario, il n. 102, considerato disperso (Valle Brembana antica terra..., o. c., pag. 114) e recentemente ritrovato dall'ultimo proprietario del fabbricato.
173 Tutto il capitolo, tranne il titolo, è della stessa mano degli ultimi due capoversi del capitolo precedente, vale a dire di don Artusi. La grafia dell'estensore Giuseppe Locatelli ritorna nel capitolo VI.
174 Non si è riusciti a verificarne la sussistenza.
175 Festoni, in genere di color rosso.
176 "Latticini". E’ appena il caso di notare, da parte soprattutto dei primi due estensori del Chronicus, Giuseppe Locatelli e don Carlo Artusi, il frequente uso del plurale con la doppia ii non solo per le parole terminanti in io (es.: vario-ii) al singolare, anche se non accentate, ma anche là dove non ce l’aspetteremmo proprio, come in questo caso.
177 Da qui fino a fine capitolo il testo è di mano di don Artusi.
178 "Capitelli".
179 Timbro con iscrizione nel tondo: Preposto e Vicario Foraneo - di Primaluna in Valsassina.
180 Zappellini?
181 "(1) Il telaio è dipinto in color verde marmoreo e dorato nelle estremità tutto all’intorno". La nota è nel testo ai piedi di pagina 200.
182 Per chi guarda dalla chiesa il lato sinistro dell'altare, mentre quello di destra, "cornu epistolae", è il lato da dove un tempo si faceva la lettura dell'epistola.
183 Lui, il Papa.
184 Così in originale: su calco della forma dialettale Corna del Züc.
185 La sottolineatura può sembrare singolare, oggi. Da ricordare, però, che allora l’accostarsi al Sacramento esigeva l’obbligo del rigoroso digiuno. Non sempre facile da rispettare, soprattutto se dal momento del risveglio e quello della Comunione c’erano di mezzo 2 ore di strada.
186 Timbro del Prevosto Vicario foraneo.
187 Da qui e per tutta la pag. 209 torna la grafia di don Carlo Artusi.
188 A testimonianza della Visita pastorale del 1904, il Chronicus riporta la sottoscrizione autografa del Card. Ferrari (che alla firma aggiunge una frase di plauso) e del Cancelliere Girola con apposizione del timbrino a forma di corona con la scritta: Visitatio Pastoralis 1904.
189 E' quella che oggi viene chiamata Culmine di Pallio.
190 Il Corpo musicale di Vedeseta, della cui nascita il Chronicus si occupa nel successivo cap. IX, che ha superato abbondantemente il secolo e che, pur in mezzo a alti e bassi e a tante difficoltà, regge tuttora brillantemente ha iniziato la sua lunga stagione di servizio piuttosto audacemente, portandosi in "foresteria" a Morterone a ricevere nientemeno che il Cardinale!
191 Questo passaggio dice chiaramente che a inizio 900, assai prima, quindi, che la luce entrasse nelle case, la Valle Taleggio era già attraversata dalla linea, tuttora tenuta in efficienza per l'emergenza, che dalle centrali della Valle Brembana portava corrente alle fabbriche di Lecco. La sua realizzazione era stata opera della Società Orobia per il gas e l'elettricità di Lecco.
192 In calce alla firma autografa del Cardinale, in realtà, come si è visto, compare quella del Cancelliere Girola...
193 Come già evidenziato, la controfirma che appare a piè di pag. 209 è chiaramente Girola.
194 Probabile richiamo per una nota che è rimasta... nella penna dell’autore.
195 Il termine dialettale stua in Valtaleggio ha assunto il significato, oltre che di stufa, di cucina. Ma stua e cucina non erano sempre la stessa cosa. Quando erano presenti tutte e due i locali la stua era la cucina più calda, spesso anche la più piccola, quella il cui tepore consentiva di superare meglio gli interminabili freddi invernali. In questo caso il riferimento non potendo essere alla cucina, citata appena dopo, forse è al cucinino. Oppure l’estensore ha scritto stuva ma voleva scrivere studio.
196 Il terzo, cioè.
197 A trapezio.
198 "Casa parrocchiale di Vedeseta, Ducato di Milano, anno 1905, temete il Signore e guardatevi da quelli che non lo temono". Il perenne attaccamento di Vedeseta a Milano, da cui, con difficoltà, s’è staccata nel 1995, è bene espresso, oltre che da mille episodi, da questa scritta settecentesca che proclama l’appartenenza al “Ducatus Mediolani”.
199 Il PrepositusVicariusForaneus prete Luigi Combi questa volta non suggella la sua firma autografa e la sua lode (la grafia di questa è però di don Artusi) con il timbrino prepositurale. Al suo posto il timbro della Parrocchia di Vedeseta.
200 Da qui a pag. 239 compresa del manoscritto, grafia di don Artusi.
201 Le finestre cui si accenna si trovavano nel forte muro di cinta del lato di ingresso, muro che, insieme al portico che precedeva l'entrata, venne demolito alla fine degli anni 60 del secolo scorso in occasione della costruzione della strada per Reggetto.
202 Sarebbe fuorviante leggere "buone" nel senso di "benestanti". E' più probabile che l'autore con quel termine alluda a una diffusa laboriosità e a un forte costume di solidarietà sociale.
203 Ovviamente non nel significato negativo che ha assunto oggi spesso questo aggettivo, ma nel senso etimologico del termine da cui deriva, pathos, che indica sentimento, commozione.
204 Con questo titolino ha termine il lungo contributo di Giuseppe Locatelli “Bonetto” alla stesura del Chronicus. Anche se vivrà fino al 1918, probabilmente le condizioni di salute, o l’età avanzata, o qualche altra ragione, non renderanno più possibile la sua partecipazione alla fatica che, con ogni evidenza, l’aveva appassionato non poco. Fino all’anno della sua morte, nel 1922, sarà solo don Artusi, che comincia a alternare le pagine a mano con articoli a stampa tratti da giornali dell’epoca, a tenere il “Diario”.
205 Inaugurarlo.
206 "Pilastro".
207 "Catenone".
208 Per la prima volta il forte ego di don Artusi, che anche per lodarsi ha sempre usato la terza persona, dà spazio al discorso in prima persona. Capiterà ancora, più volte, poco più avanti.
209 Chiaramente un lapsus del “cronista” don Artusi che voleva, ovviamente, scrivere 1610-1910.
210 Il passaggio, che dà ulteriore certezza che l’estensore di questa parte di Chronicus è proprio don Artusi, suscita la domanda su quali parenti vivessero con lui.
211 Timbro: Visitatio pastoralis 1911.
212 "Capocielo". Baldacchino che sovrasta l'altare maggiore.
213 Di farlo.
214 Note aggiuntive.
215 "Tessuto di cotone che imita all'apparenza e al tatto la seta: dal Dizionario etimologico della lingua italiana di M. Cortellazzo e P. Zolli, Zanichelli, Bologna 1991.
216 Acero.
217 Sic!. La sgrammaticatura sottolinea una scrittura, in questo passaggio particolarmente involuta.
218 Parrocchiani.
219 In realtà era a sinistra per chi guarda verso monte dal piazzale del Sagrato.
220Parte della facciata 275 è occupata - è la prima volta! - da un articoletto di giornale corredato da una foto - con didascalia completata a mano da don Artusi! - in cui compare il nuovo campanile ancora sprovvisto di campane e di lancette dell’orologio. Il retro della foto ci tramanda il nome del suo autore: Carlo Pololi, che la scattò, con ogni evidenza, in occasione di un suo ritorno dall'Inghilterra, dov'era da tempo emigrato da Olda e dove aveva impiantato un'attività alberghiera.
221 Il Chronicus per la descrizione del nuovo campanile si avvale di un articolo a stampa, a firma un emigrante, tratto da un giornale o, più verosimilmente, da un “giornaletto” periodico.
222 Aggiunto a mano da don Artusi.
223 Le mascherature?!
224 Consiglieri commissione o, meno probabile, consiglieri comunali.
225 La facciata 284 è quasi interamente occupata da un articoletto apparso su un giornale non identificato qualche giorno dopo il 15 giugno 1913, data dell’ingresso trionfale delle campane.
226 Il certificato di collaudo, che fa parte della metà inferiore della facciata 285, ha forma grafica di trafiletto di giornale.
.
227 Il titolo e l’articolo che segue, ripresi da un giornale dell’epoca, occupano interamente la facciata 287.
228 La pagina 289 e la 290 sono occupate da tre diversi articoli, ritagliati da giornali, che parlano della visita pastorale del Card. Ferrari del 1904. Il primo è, forse, ripreso da L’Eco di Bergamo, almeno a giudicare da un Bergamo che si legge nella testata.
229 I due seguenti articoli, ripresi da testate giornalistiche diverse, sono con ogni evidenza opera della stessa mano.
230 Ovviamente Colmine o Culmine, più vicina alla forma dialettale Culmen.
231 La pagina 291 è formata dalla seguente nota autografa del Cardinale, scritta su foglio che risulta privo di intestazione, forse tagliata non si sa per quale ragione. La grafia minuta non si presta a una trascrizione senza incertezze.
232 Accanto alla firma è apposto il timbro: VISITATIO PASTORALIS Anno 1918.
233 La pag. 293 contiene, incollato, un altro foglietto con messaggio che appare di mano autografa del Cardinale. Il foglietto riporta questa volta in alto a sin. la stampigliatura “Arcivescovado di Milano”.
234 La pag. 294 è occupata dal seguente articolo ritagliato dalle pagine della Cronaca di Milano del quotidiano cattolico Italia.
235 Il pezzo ha avuto, purtroppo, malamente tagliata la firma che non è ricostruibile, come incertezza vi è sulla data di questa Visita: il richiamo alla vittoria del Piave può fa pensare all’anno dell’entrata in guerra (1915) ma anche alla controffensiva dopo Caporetto. E allora saremmo nel 1918.
236 Al foglio 295 altro articoletto di giornale a celebrazione del patriottismo di don Artusi. E’ appena il caso di sottolineare, purtroppo per noi assetati di informazione, il poco spazio che il Chronicus riserva alle vicende della prima Guerra mondiale, alla quale anche Vedeseta diede un pesante contributo di morti. Ai quali peraltro, don Artusi dedicherà la Cappella-Ossario restaurata interamente a sue spese sul luogo dell’antica Chiesa di S. Antonio. Una certa stanchezza del cronista o, in qualche modo, una scelta?
237 Le pagine 296 e 297 contengono, stavolta con la stampigliatura “l’Arcivescovo di Milano”, altri due scritti autografi del Cardinale Ferrari. Non agevole la trascrizione.
238 Probabilmente voleva scrivere teschi.
239 Parte della facciata 301 è occupata dal seguente trafiletto di giornale.
240 Luglio/agosto 1920.
241 Tra pag. 300 e 301 del Chronicus è inserita in modo volante un’altra letterina autografa del Cardinale, in risposta a una analoga di don Artusi che, con gli auguri, chiedeva ancora l’autorizzazione per poter “binare”, dire cioè due messe nelle domeniche del periodo estivo.
242 Adunanza.
243 Firme senza timbro.
244 L’articolo riportato dal Chronicus sulla Visita pastorale del Card. Tosi è tratto da un quotidiano non identificato.
245 Può essere che il giudizio drastico di don Pensa su S. Bartolomeo avesse, almeno dal punto di vista artistico, qualche fondamento. Guardando, però, i due piccoli affreschi strappati alla demolizione e ora in chiesa parrocchiale e rappresentanti la Madonna col Bambino e S. Sebastiano, qualche dubbio in proposito viene. Anche se di mano non eccelsa essi risultano, infatti, di buon impasto cromatico e di notevole suggestione e ci lasciano, in ogno caso, un po' di rimpianto per quella chiesa perduta, di cui non si conoscono foto o disegni, che, risalendo almeno in parte al XIII secolo, era quantomeno stracarica di storia.
246 Cambiano i Parroci, cambiano i “cronisti” ma alcuni modi di dire, e alcuni errori, che risentono del tempo ma anche delle parlate dialettali ancora in grande auge, si mantengono costanti!