Margaret atwood



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sul pavimento. Mani come ceppi: quelle mani potrebbero salvarti o pic-

chiarti fino a ridurti in poltiglia, restando identiche nel fare entrambe le co-

se. Strumenti ottusi, come i loro occhi. C'è tanfo nella sala, di tavole marce

e aceto versato e pantaloni di lana maleodoranti e carne vecchia e una doc-

cia alla settimana, di risparmi e chiacchiere e rancore. Lei sa che è impor-

tante comportarsi come se non notasse l'odore.

Lui solleva una mano, e gli altri uomini la guardano con sospetto e di-

sprezzo, mentre si dirige svelta verso di lui, i tacchi che battono rumoro-

samente sul pavimento. Gli si siede di fronte, sorride sollevata: lui c'è. C'è

ancora.

Cristo, dice lui, tanto valeva che ti mettessi il visone.



Che ho fatto? Cosa c'è?

Il tuo soprabito.

È solo un soprabito. Un normale impermeabile, dice lei, esitante. Cos'ha

che non va?

Gesù, fa lui, ma guardati. E guardati intorno. È troppo pulito.

Per te non ne faccio una giusta, vero? chiede lei. Non ci riuscirò mai.

Sì che ci riesci, dice lui. Sai cos'è che fai bene. Ma non rifletti mai.

Non me l'avevi detto. Non ero mai stata qui prima d'ora - in un posto

come questo. E non posso certo uscire di casa come una donna delle puli-

zie - ci hai pensato?

Se almeno avessi una sciarpa o qualcosa del genere. Per coprirti i capel-

li.


I capelli, fa lei in tono esasperato. Cos'altro? Cosa c'è che non va nei

miei capelli?

Sono troppo biondi. Si notano. Le bionde sono come i topi bianchi, li

trovi soltanto in gabbia. Non durerebbero a lungo in natura. Sono troppo

vistosi.

Non sei gentile.

Detesto la gentilezza, dice lui. Detesto chi si vanta di essere gentile. Sac-

centi benefattori da quattro soldi, che elargiscono la loro gentilezza. Gente

da disprezzare.

Io sono gentile, dice lei, sforzandosi di sorridere. A ogni modo, lo sono

con te.

Se avessi pensato che era tutto qui - tiepida gentilezza sdolcinata - me ne



sarei andato. Il treno di mezzanotte e via, come un fulmine. Avrei tentato

la fortuna altrove. Non sono una cassetta delle elemosine, non cerco la ca-

rità di un po' di sesso.

È infuriato. Lei si chiede perché. Non lo vede da una settimana. O maga-

ri sarà la pioggia.

Forse allora non si tratta di gentilezza, dice lei. Forse è egoismo. Forse

sono spietatamente egoista.

Mi piacerebbe di più, dice lui. Ti preferisco avida. Spegne la sigaretta,

ne prende un'altra, ci ripensa. Fuma ancora quelle belle e pronte, un lusso

per lui. Deve razionarle. Si chiede se abbia abbastanza denaro, ma non può

domandarglielo.

Non voglio che mi siedi davanti così, sei troppo lontana.

Lo so, dice lei. Ma non c'è nessun altro posto. Piove troppo.

Troverò un posto per noi. Da qualche parte dove non nevichi.

Non sta nevicando.

Ma lo farà, dice lui. Soffierà il vento del nord.

E avremo la neve. E allora cosa faranno i ladri, poveretti? Almeno gli ha

strappato un sorriso, anche se ha più l'aria di una smorfia. Dove hai dormi-

to? chiede lei.

Non importa. Non hai bisogno di saperlo. In questo modo, se mai ti tro-

veranno e ti faranno delle domande, non dovrai mentire.

Non sono male come bugiarda, dice lei cercando di sorridere.

Forse potresti farla a un dilettante, ribatte lui. Ma i professionisti, loro ti

scoprirebbero, eccome. Ti aprirebbero come un pacco.

Ti stanno ancora cercando? Non hanno rinunciato?

Non ancora. A quanto sento dire.

È terribile, non è vero? dice lei. È tutto così terribile. Eppure siamo for-

tunati, no?

Perché saremmo fortunati? È tornato di umore cupo.

Almeno siamo tutti e due qui, almeno abbiamo...

Il cameriere è in piedi accanto al séparé. Ha le maniche della camicia

rimboccate, un lungo grembiule impregnato di vecchia sporcizia, ciocche

di capelli sistemate attraverso la testa come un nastro oleoso. Ha le dita

delle mani che sembrano dita dei piedi.

Caffè?

Sì, per favore, dice lei. Senza zucchero.



Aspetta che il cameriere se ne sia andato. È sicuro?

Il caffè? Vuoi dire se ci sono dentro germi? Non dovrebbero, è stato bol-

lito per ore. Le rivolge un sorriso beffardo, ma lei preferisce non capire.

No, voglio dire se il posto è sicuro.

È un amico di un amico. Comunque tengo d'occhio la porta - potrei svi-

gnarmela dal retro. C'è un vicolo.

Non sei stato tu, vero? dice lei.

Te l'ho detto. Però avrei potuto, ero là. Comunque non ha importanza,

perché a loro vado a pennello. Sarebbero felici di vedermi con le spalle al

muro. Me e le mie brutte idee.

Devi scappare, dice lei in tono disperato. Pensa alla parola cingere, a

quanto sia sorpassata. Eppure è questo che vuole - cingerlo tra le sue brac-

cia.

Non ancora, dice lui. Meglio non andare, ancora. Meglio non prendere



treni, non superare confini. Corre voce che è proprio lì che stanno control-

lando.


Mi preoccupo per te, dice lei. Faccio brutti sogni. Mi preoccupo in con-

tinuazione.

Non devi preoccuparti, cara, fa lui. Dimagrirai, e poi le tue belle tette e il

tuo culo si ridurranno a niente. Non sarai più buona per nessuno, allora.

Si porta la mano alla guancia come se l'avesse schiaffeggiata. Vorrei che

non parlassi così.

Lo so, dice lui. Le ragazze con impermeabili come il tuo hanno di questi

desideri.

The Port Ticonderoga Herald and Banner,

16 marzo 1933

CHASE APPOGGIA L'OPERA ASSISTENZIALE

DI ELWOOD R. MUKRAY, CAPOREDATTORE

Con il gesto altamente improntato a senso civico che la città si

aspettava da lui, il Capitano Norval Chase, Presidente delle Indu-

strie Chase, ha annunciato ieri che le Industrie Chase metteranno

a disposizione dell'opera assistenziale a favore delle aree del pae-

se più colpite dalla depressione tre carri merci di «seconde scelte»

delle loro fabbriche, tra cui copertine, golfini per bambini e un as-

sortimento di pratica biancheria intima per uomini e donne.

Il Capitano Chase ha altresì dichiarato all'Herald and Banner

che in questo momento di crisi nazionale ognuno ha il dovere di

darsi da fare come durante il periodo bellico, e soprattutto gli abi-

tanti dell'Ontano, che sono stati più fortunati di altri. Attaccato dai

suoi avversari, in particolare dal signor Richard Griffen della Ro-

yal Classic Knitwear di Toronto, che lo ha accusato di scaricare le

sue eccedenze sul mercato sotto forma di offerte gratuite privando

in tal modo i lavoratori del salario, il Capitano Chase ha sostenuto

che dal momento che coloro a cui sono destinati tali prodotti non

potrebbero permettersi di acquistarli, non sta regalando la paga di

nessuno.


Ha aggiunto che tutte le aree del paese hanno sofferto battute

d'arresto e che attualmente le Industrie Chase stanno facendo

fronte a una diminuzione della produzione dovuta al calo della

domanda. Ha detto inoltre che, sebbene disposto a fare qualsiasi

sforzo per tenere in funzione le fabbriche, ben presto potrebbe ve-

dersi costretto a effettuare licenziamenti o a ridurre orario di lavo-

ro e paghe.

Non possiamo che plaudire agli sforzi del Capitano Chase, un

uomo che mantiene fede alla parola data. Il suo rifiuto di cedere

alle logiche di crumiraggi e serrate adottate in centri come Winni-

peg e Montreal ha mantenuto Port Ticonderoga una città rispetto-

sa della legge ed esente dalle scene di disordini provocati dai sin-

dacati, di violenza brutale e di versamento di sangue di ispirazio-

ne comunista che hanno devastato altre città, con notevoli danni

alla proprietà, nonché morti e feriti.

L'assassino cieco: Il copriletto di ciniglia

È qui che vivi? dice lei. Tormenta i guanti tra le mani, come se fossero

bagnati e li stesse strizzando.

È qui che sto, dice lui. È una cosa differente.

La casa è in una fila di costruzioni identiche, tutte di mattoni rossi anne-

riti dalla fuliggine, strette e alte, dai tetti molto ripidi. Davanti c'è un ret-

tangolo di polvere, qualche erbaccia secca cresciuta ai lati del vialetto. Un

sacchetto di carta marrone strappato.

Quattro gradini conducono alla veranda. Tendine di pizzo penzolano alla

finestra sul davanti. Lui tira fuori la chiave.

Nell'entrare lei lancia un'occhiata al di sopra della spalla. Non preoccu-

parti, dice lui, non sta guardando nessuno. Comunque, è la casa di un mio

amico. Oggi sono qui e domani me ne sarò andato.

Hai un sacco di amici, dice lei.

No, ribatte lui. Non te ne servono molti, se non ci sono mele marce.

C'è un'anticamera con una fila di ganci per i cappotti, un pavimento di

linoleum consumato con un motivo a quadrati marroni e gialli, una porta

interna con un pannello di vetro smerigliato con sopra disegnati aironi o

gru. Uccelli dalle lunghe zampe che curvano i colli aggraziati e flessibili

tra giunchi e ninfee, resti di un'età precedente: illuminazione a gas. Lui a-

pre la porta con una seconda chiave, ed entrano nello scuro ingresso inter-

no; dà un colpetto all'interruttore. Sopra di loro, un lume con tre fiori di ve-

tro rosa e due lampadine mancanti.

Non avere l'aria tanto sgomenta, cara, dice lui. Nessuna di queste cose ti

si attaccherà. Basta che non tocchi niente.

Oh, potrebbe succedere davvero, dice lei con una risata ansimante. E a te

devo toccarti. Mi ti attaccherai.

Lui chiude la porta alle loro spalle. Sulla sinistra ce n'è un'altra, vernicia-

ta e scura: lei immagina un orecchio indagatore schiacciato contro di essa

dall'interno, uno scricchiolio, come di un peso che si sposti da un piede al-

l'altro. Qualche malevola vecchia rugosa dai capelli grigi - non si combine-

rebbe bene con le tendine di pizzo? Una lunga e ripida rampa di scale sale

verso l'alto, con passatoie inchiodate e una rada ringhiera. La carta da para-

ti ha un disegno reticolato, con tralci di vite e rose intrecciate, un tempo ro-

sa, ora di quel marrone chiaro del tè al latte. Lui la circonda con cautela

con un braccio, le strofina le labbra su un lato del collo, sulla gola; non

sulla bocca. Lei rabbrividisce.

È facile liberarsi di me, dopo, dice lui in un sussurro. Basta andare a casa

e farsi una doccia.

Non dire così, fa lei, sempre in un sussurro. Stai scherzando. Non mi

prendi mai sul serio.

Fai sul serio questo, dice lui. Lei gli fa scivolare il braccio attorno alla

vita e salgono le scale in modo un po' goffo, un po' pesante; i loro corpi li

rallentano. A metà strada c'è una finestra rotonda con i vetri colorati: la lu-

ce cade attraverso il blu cobalto del cielo, l'uva di un viola da grande ma-

gazzino a buon mercato e il rosso da mal di testa dei fiori, tingendo i loro

visi. Sul pianerottolo del secondo piano lui la bacia di nuovo, questa volta

con maggiore intensità, facendole scivolare su la gonna lungo le gambe

coperte di seta fino all'orlo delle calze, toccando i bottoncini di gomma du-

ra, spingendola contro il muro. Lei porta sempre un busto: toglierglielo è

come scuoiare una foca.

Il cappello le rotola a terra, le sue braccia sono attorno al collo di lui, la

testa e il corpo inarcati all'indietro come se qualcuno la stesse tirando per i

capelli. Quanto ai capelli, si sono sciolti, srotolati; lui ci passa sopra la ma-

no, su quella pallida striscia affusolata, e pensa a una fiamma, alla singola

fiamma tremolante di una candela bianca capovolta. Ma una fiamma non

brucia verso il basso.

La stanza è al terzo piano, dove un tempo dovevano trovarsi gli alloggi

della servitù. Una volta dentro, lui mette la catenella. La stanza è piccola e

soffocante e buia, con una finestra, aperta di qualche centimetro, l'avvolgi-

bile quasi completamente abbassato, bianche tendine a rete annodate su

ciascun lato. Il sole pomeridiano colpisce l'avvolgibile, tingendolo d'oro.

L'aria odora di carie del legno, ma anche di sapone. In un angolo c'è un

piccolo lavandino triangolare con sopra appeso uno specchio pieno di

macchie giallastre; infilata lì sotto, la scatola nera della sua macchina per

scrivere. Il suo spazzolino in una tazza smaltata; non è uno spazzolino

nuovo. È troppo intimo. Distoglie lo sguardo. C'è una scrivania verniciata

di scuro con segni di bruciature di sigaretta e tracce di bicchieri bagnati,

ma quasi tutto lo spazio è occupato dal letto. È di quelli di ottone, antiqua-

to, da ragazza, dipinto di bianco tranne ai pomelli. Probabilmente scric-

chiolerà. A questo pensiero, arrossisce.

Capisce che si è dato da fare con il letto - ha cambiato le lenzuola o al-

meno la federa, lisciato lo scolorito copriletto di ciniglia di un verde gialla-

stro. Vorrebbe quasi che non lo avesse fatto, perché quella vista le provoca

una fitta di qualcosa che ricorda la pietà, come se un contadino che muore

di fame le avesse offerto il suo ultimo boccone di pane. Non è pietà ciò che

vuole sentire. Non vuole sentire che lui è in alcun modo vulnerabile. Solo

a lei è concesso. Appoggia la borsa e i guanti sul piano della scrivania. Al-

l'improvviso percepisce la cosa come un'occasione mondana. Come occa-

sione mondana è assurda.

Purtroppo non c'è il maggiordomo. Vuoi bere qualcosa? Ho dello scotch

a buon mercato.

Sì, per favore, dice lei. Lui tiene la bottiglia nel cassetto in alto della

scrivania; la tira fuori insieme a due bicchieri. Dimmi basta.

Basta, grazie.

Non c'è ghiaccio, dice lui, ma se vuoi c'è dell'acqua.

Va bene così. Lei ingoia il whisky, tossicchia, gli sorride, in piedi con la

schiena contro la scrivania.

Liscio e forte e tutto d'un fiato, dice lui, proprio come ti piace farlo. Si

siede sul letto con il suo drink. Alla salute del fatto che ti piace. Solleva il

bicchiere. Non le restituisce il sorriso.

Sei stranamente cattivo, oggi.

Autodifesa, dice lui.

A me non piace farlo, mi piaci tu, ribatte lei. So la differenza.

Fino a un certo punto, dice lui. O almeno pensi di saperla. Per salvare la

faccia.

Dammi una buona ragione perché non dovrei prendere e andarmene.



Lui sorride. Allora vieni qui.

Anche se sa che lei vorrebbe che lo facesse, non le dirà che la ama. For-

se questo lo lascerebbe senza armatura, come un'ammissione di colpa.

Mi tolgo subito le calze. Si smagliano solo a guardarle.

Come te, dice lui. Lasciatele. Ora vieni.

Il sole si è spostato; rimane soltanto un cuneo di luce, sulla sinistra del-

l'avvolgibile abbassato. Fuori, un tram passa sferragliando, suonando la

campanella. I tram devono essere passati per tutto il tempo. Perché allora

loro hanno sentito solo un gran silenzio? Il silenzio e il suo respiro, i loro

respiri, laboriosi, trattenuti, nel tentativo di non fare alcun rumore. O di

non farne troppo. Perché il piacere dovrebbe assomigliare tanto all'ango-

scia? A qualcuno ferito. Lui le aveva messo una mano sulla bocca.

Ora la stanza è più buia, eppure lei vede meglio. Il copriletto am-

mucchiato sul pavimento, il lenzuolo attorcigliato attorno e sopra di loro

come uno spesso viticcio di stoffa; l'unica lampadina, non schermata, la

carta da parati color crema con le sue violette blu, piccole e assurde, mac-

chiata di beige dove il tetto deve aver lasciato passare l'acqua; la catenella

che protegge la porta. La catenella che protegge la porta: è piuttosto fragi-

le. Una buona spinta, un calcio con uno scarpone. Se dovesse succedere,

cosa farebbe lei? Sente le pareti assottigliarsi, farsi trasparenti. Sono pesci

in una boccia.

Lui accende due sigarette, gliene porge una. Tutti e due aspirano. Lui

passa la mano libera lungo di lei, poi di nuovo, stringendola tra le dita. Si

chiede quanto tempo abbia; non glielo domanda. Invece, le afferra il polso.

Lei porta un orologino d'oro. Lui ne copre il quadrante.

E allora, dice. Una storia prima di andare a letto?

Sì, per favore, risponde lei.

Dov'eravamo rimasti?

Avevi appena tagliato la lingua a quelle povere fanciulle con i loro veli

da sposa.

Ah, sì. E tu hai protestato. Se non ti piace questa storia potrei raccontar-

tene un'altra, ma non sono in grado di prometterti che sarebbe meno cruen-

ta. Potrebbe anche essere peggiore. Potrebbe essere ambientata al giorno

d'oggi. Invece di pochi morti Zycroniani, potremmo avere acri di fango

appiccicoso e centinaia di migliaia di...

Mi tengo questa, dice svelta lei. Comunque, è quella che vuoi raccon-

tarmi.

Lei spegne la sigaretta nel portacenere di vetro marrone, poi gli si siste-



ma accanto, con l'orecchio sul suo petto. Le piace sentire la sua voce in

questo modo, come se non gli nascesse nella gola ma nel corpo, come un

mormorio o un ringhio, o come una voce che parli dal profondo del sotto-

suolo. Come il sangue che si muove attraverso il proprio cuore: una parola,

una parola, una parola.

The Mail and Empire, 5 dicembre 1934

PLAUSO PER BENNETT

SPECIALE PER THE MAIL AND EMPIRE

In un discorso tenuto all'Empire Club ieri sera, il signor Richard

E. Griffen, finanziere di Toronto e Presidente della Royal Classic

Kneatwear senza troppi peli sulla lingua, ha rivolto contenute lodi

al Primo Ministro R.B. Bennett e frecciate ai suoi critici.

Riferendosi alla turbolenta manifestazione di domenica ai Ma-

ple Leaf Gardens di Toronto, nel corso della quale 15.000 comu-

nisti hanno inscenato un isterico benvenuto al loro leader Tim

Buck, arrestato per associazione sovversiva ma rilasciato sulla pa-

rola sabato dal Kingston's Portsmouth Penitentiary, il signor Grif-

fen si è dichiarato allarmato nel vedere il governo «cedere alle

pressioni», sotto forma di una petizione firmata da 200.000 «cuori

delusi e sanguinanti». La politica del «pugno di ferro dell'inflessi-

bilità» del signor Bennett era stata corretta, ha sostenuto, dal mo-

mento che l'arresto di coloro che complottavano per far cadere i

governi eletti e per confiscare la proprietà privata era l'unico mo-

do di trattare la sovversione.

Quanto alle decine di migliaia di immigrati espulsi sulla base

dell'Articolo 98, compresi quelli rispediti in paesi come la Ger-

mania e l'Italia dove li attende il campo di concentramento, questi

si erano dichiarati fautori di un regime tirannico, e ora potranno

averne un assaggio di prima mano, ha detto il signor Griffen.

Passando all'economia, ha affermato che sebbene la disoccupa-

zione rimanga alta, con l'inquietudine che ne deriva e con i comu-

nisti e i loro simpatizzanti che continuano ad approfittarne, ci so-

no stati segnali positivi, e lui è fiducioso che la Depressione finirà

entro la primavera. Intanto l'unica politica sana sarebbe tirare di-

ritti e permettere al sistema di correggersi. Qualsiasi propensione

al socialismo morbido del signor Roosevelt dovrebbe essere con-

trastata, dal momento che tali tentativi potrebbero soltanto far

ammalare ancora di più l'economia già sofferente. Sebbene la pia-

ga della disoccupazione vada deplorata, molti sono gli scansafati-

che per vocazione, e contro gli scioperanti illegali e gli agitatori

esterni dovrebbe auspicarsi un pronto ed efficace uso della forza.

Le considerazioni del signor Griffen sono state accolte da ap-

plausi scroscianti.

L'assassino cieco: Il messaggero

Allora. Diciamo che è buio. I soli, tutti e tre, sono tramontati. Sono sorte

un paio di lune. Sulle colline ai piedi delle montagne si aggirano i lupi. La

fanciulla prescelta aspetta il suo turno di essere sacrificata. Le è stato servi-

to il suo ultimo, elaborato pasto, è stata profumata e unta, canzoni sono

state intonate in sua lode. Ora giace su un letto di broccato dorato e rosso,

chiusa nella stanza più interna del Tempio, odorosa del miscuglio di petali

e incenso e spezie aromatiche frantumate che di solito si cosparge sui fere-

tri dei morti. Quanto al letto, è chiamato il Letto di Una Notte, perché nes-

suna fanciulla ce ne passa mai due. Invece tra le fanciulle stesse, finché

hanno ancora la lingua, è chiamato il Letto delle Lacrime Mute.

A mezzanotte riceverà la visita del Signore dell'Oltretomba, che a quan-

to si dice indossa un'armatura arrugginita. L'Oltretomba è il luogo della la-

cerazione e della disintegrazione: tutte le anime devono attraversarlo nel

loro tragitto verso la terra degli Dei, e alcune - le più peccaminose - devo-

no rimanervi. Ogni fanciulla consacrata del Tempio deve subire una visita

del Signore coperto di ruggine la notte prima del suo sacrificio, perché in

caso contrario la sua anima rimarrà insoddisfatta, e invece di viaggiare

verso la terra degli Dei sarà costretta a unirsi al gruppo di morte belle e

nude dai capelli azzurri, le figure piene, le labbra rosso rubino e gli occhi

come fosse piene di serpenti, che vagano attorno alle antiche tombe in ro-

vina nelle desolate montagne a ovest. Come vedi, non le ho dimenticate.

Apprezzo la tua premura.

Per te questo e altro. Qualunque altro dettaglio vuoi che aggiunga, non

hai che da dirmelo. Come molta gente, antica e moderna, gli Zycroniani

temono le vergini, specialmente morte. Le donne tradite in amore che sono

spirate senza essersi sposate, da morte sono spinte a cercare ciò che si sono

tanto sfortunatamente perdute da vive. Di giorno dormono nelle tombe in

rovina e di notte danno la caccia agli sprovveduti viaggiatori, in particolare

a qualsiasi giovane sia tanto temerario da percorrere quei luoghi. Balzano

su questi giovani e ne succhiano l'essenza vitale, trasformandoli in obbe-

dienti zombi, obbligati a soddisfare a richiesta le loro innaturali brame.

Che sfortuna per i giovani, dice lei. Non c'è alcun modo di difendersi da

queste creature maligne?

Si può trafiggerle con lance o schiacciarle con massi, riducendole in pol-

tiglia. Ma sono talmente tante che è come respingere una piovra, sono ad-

dosso a un poveretto prima che se ne accorga. Comunque, ipnotizzano le

vittime, annientano la loro forza di volontà. È la prima cosa che fanno.

Appena se ne vede una, si rimane inchiodati sul posto.

Posso immaginarlo. Ancora scotch?

Credo di poterlo reggere. Grazie. La fanciulla - secondo te come do-

vrebbe chiamarsi?

Non lo so. Scegli tu. Sei tu l'esperto.

Ci penserò. A ogni modo, eccola che giace sul Letto di Una Notte, in

preda all'ansia. Non sa cosa sarà peggio, la gola tagliata o le poche ore che


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