Margaret atwood



Yüklə 2,13 Mb.
səhifə8/50
tarix26.10.2017
ölçüsü2,13 Mb.
#14331
1   ...   4   5   6   7   8   9   10   11   ...   50

com'è mia abitudine. In altri luoghi del mondo ci sono inondazioni: acqua

marrone che turbina, mucche gonfie che galleggiano, sopravvissuti accal-

cati sui tetti. Sono annegati in migliaia. Il riscaldamento globale è ritenuto

responsabile: la gente deve smettere di bruciare le cose, si dice. Benzina,

petrolio, intere foreste. Sono l'avidità e la fame a spingerli, come al solito.

Dov'ero rimasta? Giro la pagina: la guerra sta ancora infuriando. Infuria-

re, è così che si diceva, delle guerre; e si dice ancora, per quanto ne so. Ma

su questa pagina, una pagina nuova, pulita, farò sì che la guerra finisca - io

da sola, con un colpo della mia penna di plastica. Non devo fare altro che

scrivere: 1918. 11 novembre. Giorno dell'Armistizio.

Ecco. È finita. I cannoni tacciono. Gli uomini rimasti in vita alzano lo

sguardo al cielo, i volti sporchi, i vestiti fradici; si arrampicano fuori delle

loro buche di appostamento e delle loro sudicie tane. A entrambe le parti

sembra di avere perso. Nelle città, in campagna, qui e oltre oceano, le

campane di tutte le chiese cominciano a suonare. (Me le rammento, le

campane che suonavano. È uno dei miei primi ricordi. Era così strano - l'a-

ria era talmente intrisa di rumore, e al tempo stesso così vuota. Reenie mi

portò fuori a sentire. Aveva il viso rigato di lacrime. Grazie a Dio, disse.

La giornata era fredda, le foglie cadute erano gelate, sul laghetto c'era un

sottile strato di ghiaccio. Lo ruppi con un bastone. Dov'era mia madre?)

Mio padre era stato ferito alla Somme, ma si era ristabilito ed era stato

fatto sottotenente. Fu ferito di nuovo a Vimy, anche se non gravemente, e

venne fatto capitano. Fu ferito di nuovo nel bosco di Bourlon, questa volta

in modo più serio. Fu mentre era in convalescenza in Inghilterra che la

guerra finì.

Perse il benvenuto alle truppe che rientravano a Halifax, le sfilate vitto-

riose e via dicendo, ma gli fu riservata un'accoglienza speciale a Port Ti-

conderoga. Il treno si fermò. Le acclamazioni esplosero. Alcune mani si

sollevarono per aiutarlo a scendere, quindi esitarono. Lui uscì fuori. Aveva

un occhio e una gamba buoni. Il suo viso era scarno, segnato, esaltato.

I commiati possono essere sconvolgenti, ma i ritorni sono sicuramente

peggiori. La carne in tutta la sua tangibilità non può mai essere all'altezza

della luminosa ombra gettata dalla sua assenza. Il tempo e la distanza ren-

dono indistinti i contorni; poi all'improvviso la persona amata è qui, ed è

mezzogiorno, con la sua luce impietosa, e ogni macchia e poro e ruga e pe-

lo ispido salta agli occhi.

Dunque, mia madre e mio padre. Come avrebbe potuto ognuno dei due

fare ammenda all'altro per essere tanto cambiato? Per non essere riuscito a

mantenersi così come ci si aspettava? Com'era possibile che non ci fossero

rancori? Rancori nutriti in silenzio e ingiusti, perché non c'era nessuno da

condannare, nessuno su cui puntare il dito. La guerra non era una persona.

Che senso aveva condannare un uragano?

Eccoli là, sul marciapiede della stazione. La banda cittadina suona, sono

quasi tutti ottoni. Lui è in uniforme; le sue medaglie sono come fori di ar-

ma da fuoco nella stoffa, attraverso i quali si intravede l'opaco barlume del

suo vero corpo, metallico. Accanto a lui, invisibili, ci sono i suoi fratelli - i

due ragazzi perduti, coloro che egli sente di aver perduto. Mia madre è là

nel suo abito migliore, qualcosa con un bavero e una cintura, e un cappello

con un nastro fiammante. Sorride timidamente. Nessuno dei due sa bene

cosa fare. La macchina fotografica del giornale li coglie con il suo flash;

loro sgranano gli occhi, quasi colti in flagrante. Mio padre ha una benda

nera sull'occhio destro. Quello sinistro lancia sguardi ostili. Sotto la benda,

non ancora messa allo scoperto, c'è una ragnatela di carne piena di cicatri-

ci, dove il ragno è l'occhio mancante.

«L'erede dei Chase ritorna da eroe» strombazzerà il giornale. Le cose

sono cambiate: ora mio padre è l'erede, il che vuol dire che non solo è sen-

za fratelli, ma anche senza padre. L'impero è nelle sue mani. Sembra fan-

go.


Mia madre pianse? È possibile. Devono essersi baciati goffamente, come

a una di quelle riunioni di beneficenza in cui gli uomini compravano bi-

glietti abbinati alle leccornie preparate dalle ragazze e ricevevano in cam-

bio un bacio. Ma doveva avere comprato il biglietto sbagliato. Non era

quella che si ricordava, questa donna efficiente e oberata di preoccupazio-

ni, con un pince-nez come quello di una zia nubile che brillava appeso a

una catenella d'argento intorno al collo. Adesso erano due estranei, e - de-

ve essere venuto loro in mente - lo erano sempre stati. Com'era violenta la

luce. Com'erano invecchiati. Non c'era traccia del giovanotto che una volta

si era inginocchiato così rispettosamente sul ghiaccio per allacciarle i pat-

tini, o della giovane donna che aveva dolcemente accolto quell'omaggio.

Qualcos'altro si materializzò come una spada tra loro. Naturalmente lui

aveva avuto altre donne, del tipo che bazzicava intorno ai campi di batta-

glia per guadagnarsi da vivere. Puttane, per dire francamente una parola

che mia madre non avrebbe mai pronunciato. Deve averlo capito la prima

volta che le ha posato una mano addosso: la timidezza, il rispetto, doveva-

no essere spariti. Probabilmente lui aveva resistito alla tentazione alle

Bermuda, poi in Inghilterra, fino al momento in cui Eddie e Percy erano

stati uccisi e lui stesso ferito. Dopo si era aggrappato alla vita, a qualsiasi

manciata gliene fosse venuta a tiro. Come faceva lei a non capire quanto

bisogno ne avesse, in simili circostanze?

Lei capiva, o almeno capiva che avrebbe dovuto capire. Capiva e non ne

parlava, e pregava di avere la forza di perdonare, e perdonò. Ma per lui

non dovette essere tanto facile vivere con la sua comprensione. Colazione

in una nube di comprensione, porridge e comprensione, burro e compren-

sione sul pane tostato. Lui non avrebbe mai potuto fare niente contro di es-

sa, perché come si può respingere qualcosa che non viene mai detto? Lei,

da parte sua, se la prendeva con l'infermiera, o le molte infermiere, che a-

vevano assistito mio padre nei vari ospedali. Voleva che lui dovesse la sua

guarigione a lei sola - alle sue cure, alla sua instancabile devozione. Que-

sto è il rovescio dell'altruismo: la sua tirannia.

Tuttavia, mio padre non era poi tanto sano. In effetti era un relitto andato

in mille pezzi, come testimoniano le grida nell'oscurità, gli incubi, gli im-

provvisi attacchi di rabbia, la scodella o il bicchiere lanciati contro la pare-

te o il pavimento, ma mai contro di lei. Era rotto, e aveva bisogno di essere

riparato: perciò lei poteva ancora aiutarlo. Lo avrebbe circondato di un'at-

mosfera di tranquillità, lo avrebbe assecondato, coccolato, avrebbe messo

dei fiori sul tavolo della sua colazione e gli avrebbe preparato le sue cene

preferite. Almeno, non si era preso qualche brutta malattia.

Tuttavia, era successo qualcosa di molto peggio: ora mio padre era ateo.

Sopra le trincee Dio era scoppiato come un pallone, e di lui non era rima-

sto altro che frammenti piccoli e sporchi di ipocrisia. La religione era sol-

tanto un bastone per picchiare i soldati, e chiunque affermasse il contrario

si riempiva la bocca di sciocchezze bigotte. A cos'erano serviti il coraggio

di Percy e Eddie, la loro audacia, le loro morti orribili? Cosa avevano con-

cluso? Erano stati uccisi dagli errori grossolani di un mucchio di vecchi

criminali incompetenti, che avrebbero potuto benissimo tagliare loro le go-

le e scaraventarli oltre il fianco del piroscafo Caledonian. Tutto quel gran

parlare di combattere per Dio e la Civiltà lo faceva vomitare.

Mia madre era sgomenta. Stava forse dicendo che Percy e Eddie non e-

rano morti per un fine superiore? Che tutti quei poveretti erano morti inva-

no? Quanto a Dio, chi altri li aveva assistiti in quel periodo di tormento e

sofferenza? Lo pregava almeno di tenere il suo ateismo per sé. Poi si ver-

gognò profondamente di averglielo chiesto - come se ciò che più le stava a

cuore fosse l'opinione dei vicini e non il rapporto della viva anima di mio

padre con Dio.

Tuttavia, lui rispettò il suo desiderio. Ne capiva la necessità. Comunque,

diceva certe cose soltanto quando aveva bevuto. Prima della guerra di soli-

to non beveva, non in modo regolare, determinato, ma adesso sì. Beveva e

misurava il pavimento, trascinando la gamba cattiva. Dopo un po' comin-

ciava a tremare. Mia madre cercava di calmarlo, ma lui non voleva essere

calmato. Saliva nella tozza torretta di Avilion, dicendo di voler fumare. In

realtà era una scusa per stare solo. Lassù parlava tra sé e sé, si scagliava

contro le pareti e finiva per bere fino all'intontimento. Per farlo si allonta-

nava dalla presenza di mia madre, perché dal suo punto di vista era ancora

un gentiluomo, oppure si aggrappava ai brandelli della maschera che aveva

indosso. Non voleva spaventarla. Un'altra cosa che lo faceva sentire male,

suppongo, era che le sue cure fatte a fin di bene gli dessero tanto sui nervi.

Un passo leggero, un passo pesante, un passo leggero, un passo pesante,

come un animale con una zampa in una trappola. Grida lamentose e attuti-

te. Rumore di vetro rotto. Questi suoni mi svegliavano: il pavimento della

torretta era sopra la mia stanza.

Poi c'erano passi che scendevano; e poi silenzio, una sagoma nera fuori

del rettangolo chiuso della mia camera. Io non potevo vederlo là fuori, ma

potevo sentirlo, un mostro con un occhio solo che camminava a passi stra-

scicati, infinitamente triste. Mi ero abituata a questi suoni, non pensavo

che mi avrebbe mai fatto del male, ma lo trattavo lo stesso con circospe-

zione.


Non voglio dare l'impressione che lo facesse ogni notte. Inoltre con il

tempo queste sedute - o forse è il caso di chiamarle crisi - divennero meno

numerose e più distanziate. Ma si capiva quando ce n'era una nell'aria da

come si serrava la bocca di mia madre. Aveva una specie di radar, riusciva

a cogliere le onde della rabbia di lui che montava.

Intendo dire che non la amava? Niente affatto. La amava; in un certo

senso le era devoto. Ma non poteva raggiungerla, e lo stesso valeva per lei.

Era come se avessero bevuto una pozione fatale che li avrebbe tenuti divisi

per sempre, anche se vivevano nella stessa casa, mangiavano allo stesso

tavolo, dormivano nello stesso letto.

Come sarà ardere di desiderio, struggersi per qualcuno che ti sta davanti

agli occhi, giorno dopo giorno? Non lo saprò mai.

Alcuni mesi dopo mio padre cominciò le sue sconvenienti scappatelle.

Non nella nostra città però, o almeno non subito. Andava in treno a Toron-

to «per affari» e passava il suo tempo a bere, e anche a cercare donne faci-

li, come si diceva allora. La voce si sparse in maniera sorprendentemente

rapida, come sempre nel caso di uno scandalo. Cosa piuttosto strana, in cit-

tà entrambi i miei genitori furono più rispettati per questo. Chi avrebbe po-

tuto criticare mio padre, tutto considerato? Quanto a lei, nonostante quello

che doveva sopportare, non si sentì una sola parola di lamentela uscire dal-

le sue labbra. Ed era proprio così che doveva essere.

(Come faccio a sapere tutte queste cose? Non le so, non nella comune

accezione del termine. Ma nelle famiglie come la nostra spesso c'è più nei

silenzi che in quanto viene detto davvero - nelle labbra serrate, nelle teste

girate per non vedere, nei rapidi sguardi in tralice. Nelle spalle sollevate

come se si portasse un pesante fardello. Non c'è da stupirsi se prendemmo

l'abitudine di ascoltare dietro le porte, Laura e io).

Mio padre aveva un assortimento di bastoni da passeggio con manici

particolari - di avorio, di argento, di ebano. Teneva molto a vestirsi in ma-

niera accurata. Non si era mai aspettato che avrebbe finito per gestire gli

affari di famiglia, ma ora che si era accollato quell'impegno intendeva farlo

bene. Avrebbe potuto vendere tutto, ma il caso volle che non ci fossero

compratori, o non al suo prezzo. Inoltre sentiva di avere un obbligo, se non

nei confronti della memoria di suo padre, almeno di quella dei fratelli mor-

ti. Fece cambiare l'intestazione della carta da lettere in Chase & Figli, an-

che se di figlio ne era rimasto uno solo. Voleva averne di suoi, di figli, pre-

feribilmente due, per rimpiazzare quelli perduti. Voleva perseverare.

All'inizio gli uomini delle sue fabbriche lo adoravano. Non solo per le

medaglie. Subito dopo la guerra le donne si erano fatte da parte o erano

state tolte di mezzo, e i loro posti erano stati riempiti dagli uomini che ri-

tornavano - da qualsiasi uomo in grado di occupare un posto, cioè. Ma di

posti non ce n'erano abbastanza per tutti: la richiesta del periodo bellico era

finita. In tutto il paese ci furono chiusure temporanee e licenziamenti, ma

non nelle fabbriche di mio padre. Lui assumeva, assumeva in eccesso. As-

sumeva i reduci. Diceva che l'ingratitudine della nazione era spregevole, e

che era venuto il momento che i suoi uomini d'affari restituissero qualcosa

di quanto le dovevano. Tuttavia furono in pochissimi a farlo. Chiudevano

gli occhi, ma mio padre, che ne aveva uno già chiuso, non poteva. Nacque

così la sua reputazione di ribelle, e di persona un po' sciocca.

Io sembravo proprio figlia di mio padre. Ero più simile a lui; avevo ere-

ditato il suo sguardo arcigno, il suo ostinato scetticismo. (Come infine a-

vrei ereditato anche le sue medaglie. Le lasciò a me). Reenie diceva -

quando ero disobbediente - che avevo un carattere difficile e che sapeva da

chi l'avessi preso. Laura d'altro canto era figlia di mia madre. Aveva un

profondo senso religioso, in qualche modo; aveva la fronte alta e pura.

Ma le apparenze ingannano. Io non avrei mai potuto lanciarmi giù da un

ponte con la macchina. Avrebbe potuto farlo mio padre. Non mia madre.

Eccoci nell'autunno del 1919, noi tre insieme - mio padre, mia madre e

io -, intenti a fare uno sforzo. È novembre; è quasi ora di andare a letto.

Siamo seduti nel soggiorno di Avilion. C'è un caminetto ed è acceso, visto

che il tempo si è messo al freddo. Mia madre è in convalescenza da una re-

cente, misteriosa malattia, che a quanto pare ha qualcosa a che vedere con i

suoi nervi. Sta rammendando dei vestiti. Non avrebbe bisogno di farlo -

potrebbe pagare qualcuno - ma non vuole; le piace avere qualcosa che le

tenga le mani occupate. Sta attaccando un bottone che è saltato da uno dei

miei abiti: sono famosa per trattare male i miei vestiti. Sul tavolo rotondo

accanto al suo gomito c'è il cestino da cucito bordato di erba odorosa, di

fabbricazione indiana, con le forbici, i rocchetti di filo e l'uovo da ram-

mendo di legno; ci sono anche i suoi nuovi occhiali rotondi, lì a fare la

guardia. Non ne ha bisogno per i lavori da vicino.

Indossa un abito celeste con un ampio colletto bianco e polsini bianchi

orlati di piqué. I suoi capelli hanno cominciato a imbiancarsi prematura-

mente. Il pensiero di tingerli non la sfiora più di quanto potrebbe sfiorarla

l'idea di tagliarsi una mano, perciò ha un viso da giovane donna in un nido

di lanugine di cardo. Sono divisi nel mezzo, i suoi capelli, e ricadono in-

dietro in ampie ciocche elastiche a formare un intricato viluppo di ondula-

zioni e ricci sulla nuca. (Al momento della sua morte, cinque anni dopo, li

avrebbe avuti alla maschietta, più alla moda, meno impegnativi). Ha le pal-

pebre abbassate, le guance gonfie, come il ventre; il suo sorriso appena ac-

cennato è dolce. L'alone giallo-rosa della lampadina elettrica le getta sul

volto un tenue bagliore.

Di fronte a lei c'è mio padre, su un divano. È appoggiato ai cuscini, ma

non ha pace. Ha la mano sul ginocchio della gamba cattiva; la gamba si

muove su e giù a piccoli scatti. (La gamba buona, la gamba cattiva - que-

sti termini mi incuriosiscono. Cos'ha fatto la gamba cattiva, per essere

chiamata così? La sua segreta mutilazione è forse un castigo?)

Io sono seduta accanto a lui, ma non troppo vicino. Il suo braccio è al-

lungato sul divano dietro di me, ma non mi tocca. Ho il mio abbecedario;

glielo sto leggendo, per dimostrargli che so farlo. Tuttavia non ne sono ca-

pace, ho soltanto memorizzato la forma delle lettere, e le parole da abbina-

re alle figure. Su un tavolino accostato al divano c'è un grammofono da cui

spunta un altoparlante simile a un grande fiore di metallo. La mia voce mi

sembra quella che a volte esce fuori di là: piccola e sottile e distante; qual-

cosa che si può spegnere con un dito.

A come Arancia,

Da mangiare è succosa:

C'è chi ne ha poche,

E chi invece ne ha a iosa.

Lancio un'occhiata a mio padre per vedere se mi rivolge un po' di atten-

zione. A volte quando gli si parla non sente. Coglie il mio sguardo e dal-

l'alto mi rivolge un debole sorriso.

B come Bambino,

Così tenero e rosa,

Con due piccole mani

E una faccia vezzosa.

Mio padre è tornato a fissare fuori della finestra. (Immagina forse di sta-

re dall'altro lato del vetro e di guardare nella stanza? Un orfano, cacciato

per sempre - un vagabondo notturno? È per questo che aveva dovuto com-

battere - per questo idillio accanto al caminetto, per questa scena edificante

tratta da una pubblicità di biscotti ai cereali: la moglie rotondetta e dalle

guance rosee, così buona e gentile, la figlia obbediente e rispettosa. Per

questa piattezza, per questa noia. Possibile che, nonostante il suo fetore e

la sua assurda carneficina, sentisse una certa nostalgia della guerra? Di

quella indubbia manifestazione vitale dell'istinto?)

F come Fuoco,

Buon servo, cattivo signore.

Se lasciato a se stesso

Può bruciare per ore.

La figura nel libro ritrae un uomo fatto di fuoco, che salta. Ali di fuoco

gli escono fuori dei talloni e delle spalle, piccole corna di fuoco gli spunta-

no dalla testa. Guarda al di sopra della spalla con un sorriso malizioso, se-

ducente, ed è senza vestiti. Il fuoco non può fargli del male, nulla può far-

gli del male. Me ne sono innamorata per questa ragione. Ho aggiunto altre

fiamme con i miei pastelli.

Mia madre conficca l'ago nel bottone, taglia il filo. Io continuo a leggere

con una voce sempre più ansiosa, proseguendo con le dolci M ed N, con

l'eccentrica Q, la dura R e le minacce sibilanti della S. Mio padre fissa le

fiamme, guardando i campi e i boschi e le case e le città e gli uomini e i

fratelli che si levano insieme al fumo, mentre la gamba cattiva si muove da

sola, come un cane che corre in un sogno. Questa è la sua casa, questo ca-

stello assediato; lui è il suo lupo mannaro. Fuori della finestra il freddo co-

lor limone del tramonto si attenua in grigio. Io non lo so ancora, ma sta per

nascere Laura.

Il giorno del pane

Non piove abbastanza, dicono gli agricoltori. Le cicale perforano l'aria

con i loro appassionati richiami fatti di una sola nota; la polvere turbina

nelle strade; dalle strisce di erbacce ai loro margini le cavallette si levano

frullando nell'aria. Le foglie degli aceri pendono dai rami come guanti flo-

sci; sul marciapiede la mia ombra si screpola.

Vado a camminare presto, prima che il sole splenda in tutto il suo fulgo-

re. Il dottore mi pungola: sto facendo progressi, mi dice; ma verso cosa?

Penso al mio cuore come al compagno di un'infinita marcia forzata, noi

due legati da una fune, involontari cospiratori in un complotto o in una

manovra di cui siamo completamente all'oscuro. Dove stiamo andando?

Verso l'indomani. Non mi sfugge come l'oggetto che mi tiene in vita sia lo

stesso che mi ucciderà. In questo senso è come l'amore, o un certo tipo

d'amore.

Oggi sono andata di nuovo al cimitero. Qualcuno aveva lasciato un maz-

zo di zinnie arancioni e rosse sulla tomba di Laura; fiori dai colori caldi,

dall'effetto tutt'altro che calmante. Quando sono arrivata stavano appas-

sendo, sebbene emanassero ancora il loro odore pungente. Sospetto che

fossero stati rubati dalle aiuole di fronte alla Button Factory, da un ammi-

ratore taccagno o un po' pazzo; ma in fondo è il genere di cosa che avrebbe

fatto la stessa Laura. Aveva solo una vaghissima idea della proprietà.

Sulla via del ritorno mi sono fermata al negozio di ciambelle: fuori stava

diventando caldo, e volevo un po' d'ombra. Il posto è tutt'altro che nuovo;

anzi, è quasi cadente, nonostante la sua disinvolta modernità - le mattonel-

le giallo chiaro, i tavoli di plastica bianca fissati al pavimento con attaccate

le sedie fatte in serie. Mi ricorda uno di quegli istituti: un asilo infantile in

un quartiere povero, forse, o un centro di accoglienza per ritardati mentali.

Non ci sono troppe cose da poter gettare in aria o usare per ferire qual-

cuno: perfino le posate sono di plastica. L'odore è di olio per friggere gras-

so mescolato a disinfettante all'aroma di pino, con una mano di caffè tiepi-

do a coprire il tutto.

Ho preso un tè freddo piccolo e una ciambella classica con glassa, che

mi scricchiolava tra i denti come polistirolo. Dopo averne consumata metà,

che è tutto quanto sono riuscita a mandar giù, mi sono diretta lentamente

attraverso il pavimento scivoloso verso il bagno delle donne. Nel corso

delle mie camminate ho tracciato una mappa mentale di tutti i bagni facil-

mente accessibili di Port Ticonderoga - sono così comodi se si ha un biso-

gno urgente - e quello del negozio di ciambelle attualmente è il mio pre-

ferito. Non che sia più pulito degli altri, o che sia più facile trovarvi la car-

ta igienica, ma offre un'ampia scelta di scritte. Tutti le hanno, ma mentre

nella maggior parte dei locali ci passano spesso sopra una mano di vernice,

nel negozio di ciambelle rimangono in vista molto più a lungo. Perciò non

ci sono soltanto i testi originali, ma anche i commenti.

Al momento la sequenza migliore è quella nello scomparto centrale. La

prima frase è scritta a matita, in caratteri tondi, come quelli sulle tombe

romane, profondamente incisi nella vernice: Non mangiare nulla che tu

non sia disposto a uccidere.

Poi, in pennarello verde: Non uccidere nulla che tu non sia disposto a


Yüklə 2,13 Mb.

Dostları ilə paylaş:
1   ...   4   5   6   7   8   9   10   11   ...   50




Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©muhaz.org 2024
rəhbərliyinə müraciət

gir | qeydiyyatdan keç
    Ana səhifə


yükləyin