com'erano). Fazzoletto, blu con orlo bianco; spiccioli; due mozziconi di si-
garetta avvolti in carta oleata - doveva averli messi da parte. Un temperino,
vecchio. Una volta c'erano anche due bottoni, di una camicia, aveva pensa-
to. Non si era offerta di ricucirglieli, perché avrebbe capito che aveva cu-
riosato. Le faceva piacere che lui la credesse fidata.
Una patente, il nome non è il suo. Un certificato di nascita, idem. Nomi
differenti. Le sarebbe piaciuto passarlo al setaccio. Frugarlo. Capovolger-
lo. Svuotarlo.
Lui canta piano, in una voce untuosa, come un cantante sdolcinato della
radio:
Una stanza fumosa, una luna diabolica e tu.
Ti ho rubato un bacio e mi hai promesso amore eterno
Ti ho infilato le mani sotto la gonna,
Mi hai morso un orecchio, abbiamo fatto un macello
È l'alba, tu sei andata. E io sono triste.
Lei ride. Dove l'hai sentita?
È la mia canzone della sgualdrina. Si accorda con quanto ci circonda.
Non è una vera sgualdrina. E neanche dilettante. Non credo che prenda
soldi. La cosa più probabile è che si faccia ricompensare in qualche altro
modo.
Una barca di cioccolatini. Tu ti accontenteresti?
Dovrebbero essere camion interi, dice lei. Io sono piuttosto cara. Il co-
priletto è di vera seta, mi piace il colore - è appariscente, ma molto bello.
Fa un bell'effetto, come i copricandela rosa. Hai inventato qualcos'altro?
Qualcos'altro di cosa?
Della mia storia.
La tua storia?
Sì. Non è per me?
Oh sì, fa lui. Naturalmente. Non penso ad altro. Mi tiene sveglio la notte.
Bugiardo. Ti annoia?
Nulla che ti faccia piacere potrebbe mai annoiarmi.
Dio, come sei galante. Dovremmo avere più spesso asciugamani rosa.
Molto presto bacerai la mia scarpina di cristallo. Ma a ogni modo continua.
Dov'ero rimasto?
La campana era suonata. La gola era stata tagliata. La porta si stava a-
prendo.
Oh. E va bene.
Lui dice: La ragazza di cui abbiamo parlato ha sentito aprire la porta. In-
dietreggia contro il muro, avvolgendosi strettamente nel broccato rosso del
Letto di Una Notte. La stoffa ha un odore salmastro, come un acquitrino
salato con la bassa marea: la paura prosciugata di quelle che l'hanno prece-
duta. È entrato qualcuno; si sente il rumore di un oggetto pesante trascina-
to sul pavimento. La porta si richiude; la stanza è nera come petrolio. Per-
ché non c'è una lampada, una candela?
Lei allunga le mani davanti a sé per proteggersi, e si ritrova la sinistra af-
ferrata e tenuta da un'altra mano: tenuta gentilmente e senza coercizione. È
come se le venisse rivolta una domanda.
Non può parlare. Non può dire: Non posso parlare.
L'assassino cieco lascia cadere sul pavimento il suo velo da donna. Te-
nendo la mano della fanciulla, si siede sul letto accanto a lei. Intende anco-
ra ucciderla, ma può farlo più tardi. Ha sentito parlare di queste fanciulle
segregate, tenute lontane da tutti fino all'ultimo giorno della loro vita; è in-
curiosito. In ogni caso è una specie di dono, e tutto per lui. Rifiutare un
simile dono sarebbe come sputare in faccia agli dei. Sa che dovrebbe muo-
versi in fretta, finire il lavoro, sparire, ma c'è ancora molto tempo per tutto
ciò. Sente il profumo di cui l'hanno cosparsa; sa di feretri, quelli di giovani
donne morte nubili. Dolcezza andata sprecata.
Non rovinerà niente, niente che sia stato comprato e pagato: il falso Si-
gnore dell'Oltretomba probabilmente è già venuto e andato via. Avrà tenu-
to la sua cotta di maglia arrugginita? È più che probabile. È entrato dentro
di lei con rumore metallico come una pesante chiave di ferro, si è rigirato
nella sua carne, l'ha squarciata. Lui ricorda fin troppo bene la sensazione.
Farà qualunque altra cosa, ma non quello.
Si porta la mano di lei alla bocca e vi passa sopra le labbra, non esatta-
mente un bacio ma un segno di rispetto e di omaggio. Misericordiosa e
preziosissima, dice - la consueta formula con cui i mendicanti si rivolgono
a una possibile benefattrice -, a condurmi in questo luogo è stata la fama
della tua bellezza, sebbene il solo fatto di essere qui potrebbe costarmi la
vita. Non posso vederti con gli occhi, perché sono cieco. Mi permetterai di
vederti con le mani? Sarebbe un'ultima gentilezza, e forse lo sarebbe anche
per te.
Non è stato schiavo e venduto nei bordelli per niente: ha imparato come
adulare, come mentire in modo credibile, come ingraziarsi il prossimo. Le
mette le dita sul mento e aspetta finché, dopo un attimo di esitazione, lei
annuisce. Può sentire cosa sta pensando: Domani sarò morta. Si chiede se
indovini il vero motivo della sua venuta.
Alcune delle cose migliori vengono fatte da coloro che non sanno a che
santo votarsi, che non hanno tempo, che capiscono l'esatto significato della
parola impotente. Questi fanno a meno di calcolare rischi e vantaggi, non
pensano al futuro, sono costretti a prendere di petto il presente. Gettati in
un precipizio, o si cade o si vola; ci si aggrappa a qualsiasi speranza, per
quanto inverosimile; per quanto - se posso usare una parola fin troppo
sfruttata - miracolosa. Ciò che intendiamo con questo è: Nonostante tutto.
Così è quella notte.
L'assassino cieco comincia a toccarla molto lentamente, con una sola
mano, la destra - la mano fidata, la mano del coltello. Gliela passa sul viso,
giù lungo la gola; quindi aggiunge la mano sinistra, la mano infida, e le usa
tutte e due insieme, con tenerezza, quasi forzando una serratura della mas-
sima fragilità, una serratura fatta di seta. È come essere accarezzata dal-
l'acqua. Lei trema, ma non come prima, di paura. Dopo un po' lascia scivo-
lare giù il broccato rosso, prende la mano di lui e la guida.
Il tatto viene prima della vista, prima della parola. È il primo linguaggio
e l'ultimo, e dice sempre la verità.
Ecco come la ragazza che non poteva parlare e l'uomo che non poteva
vedere si innamorarono.
Mi sorprendi, dice lei.
Veramente? fa lui. E perché? Però mi piace sorprenderti. Si accende una
sigaretta, gliene offre una; lei fa segno di no con la testa. Lui fuma troppo.
Sono i nervi, nonostante le sue mani ferme.
Perché hai detto che si sono innamorati, dice lei. Ti sei preso gioco di
questo concetto abbastanza spesso - come di una superstizione fuori della
realtà, borghese, fondamentalmente marcia. Un sentimento malaticcio, l'al-
tisonante giustificazione vittoriana per una sensualità rispettabile. Ti stai
rammollendo?
Non criticare me, critica la storia, dice lui, sorridendo. Certe cose succe-
dono. Ci sono testimonianze di innamoramenti, o quanto meno di questa
parola. Comunque, ho detto che stava mentendo.
Non puoi svicolare in questo modo. Mentiva solo all'inizio. Poi hai cam-
biato le carte in tavola.
E va bene. Ma dovrebbe esserci un modo più freddo di guardare la cosa.
Quale cosa?
L'affare dell'innamorarsi.
Da quando in qua è un affare? dice lei irritata.
Lui sorride. Questo concetto ti disturba? Troppo commerciale? La tua
coscienza ne sarebbe scossa, è questo che stai dicendo? Ma c'è sempre uno
scambio, no?
No, dice lei. Non c'è. Non sempre.
Si potrebbe dire che ha preso quanto ha potuto. Perché non avrebbe do-
vuto? Non aveva scrupoli, la sua esistenza era mors tua vita mea e lo era
sempre stata. O si potrebbe dire che erano entrambi giovani, perciò non
conoscevano nulla di meglio. I giovani di solito scambiano il desiderio per
amore, sono infestati da ogni genere di idealismo. E non ho detto che poi
non la uccise. Come ho fatto notare, era soltanto interessato.
Così hai avuto paura, dice lei. Abbandoni, sei un codardo. Non andrai
fino in fondo. Stai all'amore come una che prima te la fa annusare e poi
non te la dà sta allo scopare.
Lui ride, una risata sorpresa. È la volgarità delle parole, è spiazzato, c'è
finalmente riuscita? Modera il linguaggio, signorina.
Perché dovrei? Tu non lo fai.
Io sono un cattivo esempio. Diciamo che potrebbero abbandonarsi - ab-
bandonarsi alle loro emozioni, se vuoi metterla così. Potrebbero rotolarsi
nelle loro emozioni - vivere quell'attimo, sprizzare poesia da tutte le parti,
bruciare la candela, vuotare il calice, ululare alla luna. Il loro tempo si sta-
va esaudendo. Non avevano niente da perdere.
Lui sì. O certamente lo pensava!
E va bene. Lei non aveva niente da perdere. Soffia fuori una nuvola di
fumo.
Non come me, fa lei, suppongo sia questo che vuoi dire.
Non come te, cara, dice lui. Come me. Io sono quello che non ha niente
da perdere.
Lei dice: Ma tu hai me. Io sono qualcosa.
The Toronto Star, 20 agosto 1935
STUDENTESSA DELLA BUONA SOCIETÀ
RITROVATA SANA E SALVA
SPECIALE PER LO STAR
Ieri la polizia ha interrotto le ricerche di Laura Chase, la studen-
tessa quindicenne della buona società scomparsa più di una setti-
mana fa e finalmente ritrovata al sicuro presso amici di famiglia, i
signori E. Newton-Dobbs, nella loro residenza estiva di Musoka.
Il noto industriale Richard E. Griffen, cognato della signorina
Chase, ha parlato al telefono ai giornalisti a nome della famiglia.
«Io e mia moglie siamo molto sollevati» ha detto. «È stato solo un
equivoco, causato da una lettera consegnata in ritardo dalla posta.
La signorina Chase aveva fatto dei programmi per le vacanze di
cui credeva che fossimo al corrente, come pure i suoi ospiti, i qua-
li non hanno l'abitudine di leggere i giornali quando sono in va-
canza, altrimenti questo pasticcio non sarebbe mai accaduto.
Quando sono tornati in città e si sono resi conto della situazione,
ci hanno telefonato immediatamente».
Interrogato sulle voci secondo cui la signorina Chase sarebbe
scappata di casa e quindi localizzata in strane circostanze al parco
dei divertimenti di Sunnyside Beach, il signor Griffen ha dichiara-
to di non sapere chi sia il responsabile di queste malevole inven-
zioni, ma che si sarebbe fatto carico di scoprirlo. «È stato un nor-
male equivoco, come può succedere a tutti» ha affermato. «Mia
moglie e io siamo felici che sia sana e salva, e ringraziamo since-
ramente la polizia, i giornali e il pubblico che ha seguito con pre-
occupazione la vicenda per il loro aiuto». La signorina Chase si è
detta confusa dalla pubblicità, e rifiuta di rilasciare interviste.
Sebbene non siano stati causati danni permanenti, queste non
sono certo le prime serie difficoltà provocate dal mal funziona-
mento delle consegne postali. Il pubblico merita un servizio su cui
poter contare ciecamente. I funzionari statali dovrebbero prender-
ne nota.
L'assassino cieco: Per strada
Lei cammina per strada, sperando di sembrare una donna qualificata a
camminare da sola per strada. O almeno in quella strada. Ma non lo è. È
vestita nel modo sbagliato, con il cappotto sbagliato. Dovrebbe portare un
foulard in testa, annodato sotto il mento, un cappotto sformato e consuma-
to alle maniche. Dovrebbe apparire scialba e trasandata.
Qui le case sono guancia a guancia. Un tempo erano casette per la servi-
tù, una fila dietro l'altra, ma ora ci sono meno servitori e i ricchi provvedo-
no in altro modo. Mattoni fuligginosi, due orizzontali, due verticali, le la-
trine fuori, sul retro. Alcune hanno resti di orti nei minuscoli prati sul da-
vanti - un filare di pomodori anneriti, un palo di legno con fili penduli. Gli
orti non possono venir su bene - c'è troppa ombra, la terra è troppo piena di
cenere. Ma perfino qui gli alberi autunnali sono stati generosi, le foglie ri-
maste sono gialle, arancioni e vermiglie, e di un rosso più intenso, come
fegato fresco.
Dall'interno delle case giungono grida, latrati, un acciottolio o una porta
sbattuta. Voci femminili alzate in preda a una rabbia soffocata, grida inso-
lenti di bambini. Nelle strette verande ci sono uomini su sedie di legno con
le mani penzoloni dalle ginocchia, senza lavoro ma non ancora senza un
tetto, una casa. I loro occhi su di lei, i loro sguardi arcigni che ne fanno un
amaro inventario: i polsi e il collo di pelliccia, la borsetta di lucertola. For-
se sono pigionanti, ammucchiati nelle cantine e negli angoli più strani per
arrotondare e riuscire a pagare l'affitto.
Donne camminano svelte, le teste basse, le spalle incurvate, con involti
di carta marrone. Sposate, probabilmente. Viene in mente la parola stufato.
Devono avere rimediato qualche osso dal macellaio, staranno portando a
casa i tagli più economici, da servire con cavoli flosci. Le sue spalle sono
troppo all'indietro, il suo mento troppo in alto, non ha quell'aspetto abbac-
chiato: quando alzano la testa abbastanza da metterla a fuoco, le loro sono
occhiate di disapprovazione. Devono pensare che sia una prostituta, ma
con scarpe come quelle cosa ci fa quaggiù? Qui è molto al di sotto del suo
livello.
Ecco il bar, all'angolo che aveva detto lui. The Beer Parlour. Là fuori è
riunito un gruppetto di uomini. Nessuno le dice niente quando passa loro
accanto, si limitano a fissarla come da dietro un cespuglio, ma può sentire i
bisbigli, l'odio e il desiderio che si mescolano nelle gole e la seguono come
la scia di una nave. Forse l'hanno presa per una donna impegnata nell'atti-
vità della parrocchia o per qualche altra sussiegosa benefattrice. Che infila
le sue dita pulite nelle loro vite, fa domande, offre avanzi di aiuto condi-
scendente. Ma è vestita troppo bene.
Ha preso un taxi, è scesa tre isolati prima, dove c'era più traffico. Meglio
non diventare una macchietta: chi prenderebbe un taxi da queste parti? Ma
lei è comunque una macchietta. Quello che le serve è un cappotto diverso,
preso a una vendita di beneficienza, appallottolato in una valigia. Potrebbe
andare nel ristorante di un albergo, lasciare il suo cappotto al guardaroba,
scivolare nella toilette delle signore, cambiarsi. Spettinarsi i capelli, sba-
varsi il rossetto. Venire fuori come una donna differente.
No. Non funzionerebbe mai. Tanto per cominciare c'è la valigia; do-
vrebbe uscirci di casa. Dove vai tanto di fretta?
Perciò le tocca fare un numero di prestigio senza cilindro. Contando solo
sulla sua faccia tosta. Ormai ha abbastanza pratica di calma, freddezza,
impassibilità. Un'alzata di entrambe le sopracciglia, lo sguardo candido e
trasparente di un agente segreto. Un viso di pura acqua. Non è questione di
mentire, ma di evitare che diventi necessario farlo. Rendere tutte le do-
mande sciocche in anticipo.
Tuttavia un certo pericolo c'è. Anche per lui: più di prima, le ha detto.
Pensa di essere stato individuato una volta, per strada: riconosciuto. Qual-
che gorilla della Squadra Rossa, forse. Aveva attraversato una birreria af-
follata, era uscito dalla porta sul retro.
Non sa se crederci o no, a quel tipo di pericolo: uomini in vestito scuro
con rigonfiamenti, colletti tirati su, macchine in cerca di preda. Venga con
noi. La portiamo dentro. Stanze nude e luci accecanti. Sembra troppo tea-
trale, oppure come le cose che accadono soltanto nella nebbia, in bianco e
nero. Solo in altri paesi, in altre lingue. O se qui, non a lei.
Se fosse stata presa, lo avrebbe rinnegato prima ancora che il gallo can-
tasse per la prima volta. Lo sa, non ha dubbi, è tranquilla. Comunque l'a-
vrebbero lasciata andare, perché il suo coinvolgimento sarebbe stato visto
come un frivolo passatempo o come una birichinata ribelle, e qualsiasi
scompiglio ne fosse derivato sarebbe stato nascosto. Avrebbe dovuto paga-
re di tasca sua per questo, ma con cosa? È già rovinata: non si può cavare
sangue da una pietra. Si sarebbe isolata, avrebbe chiuso le imposte. Fuori
per il pranzo, in permanenza.
Ultimamente ha avuto l'impressione di essere osservata, anche se ogni
volta che si guarda intorno non c'è mai nessuno. È stata più prudente; è sta-
ta il più prudente possibile. Ha paura? Sì. Quasi sempre. Ma la sua paura
non conta. Anzi, conta. Accresce il piacere che prova con lui; anche il gu-
sto di farla franca.
Il vero pericolo viene da lei stessa. Cosa permetterà, quanto lontano è di-
sposta ad andare. Ma il permettere e l'essere disposti non hanno niente a
che vedere con tutto ciò. Allora dove verrà spinta; dove sarà condotta. Non
ha esaminato i propri motivi. Potrebbero anche non esserci motivi veri e
propri; il desiderio non è un motivo. Non le sembra di avere alcuna scelta.
Un piacere così estremo è anche un'umiliazione. È come essere trascinati
in giro da una corda infame, un guinzaglio attorno al collo. La offende, la
sua mancanza di libertà, e così allunga il tempo che la separa dal piacere,
razionandolo. Non si presenta agli appuntamenti, racconta frottole sul per-
ché non ce l'ha fatta - sostiene di non aver visto i segni di gesso sul muro
del parco, di non avere ricevuto il messaggio - il nuovo indirizzo dell'inesi-
stente negozio di vestiti, la cartolina firmata da una vecchia amica che non
ha mai avuto, la telefonata di qualcuno che ha chiamato il numero sbaglia-
to.
Ma alla fine, ritorna. Non serve a niente resistere. Va da lui per l'amne-
sia, per l'oblio. Gli si consegna, si annulla; entra nell'oscurità del proprio
corpo, dimentica il proprio nome. Vuole immolarsi, anche se per poco. E-
sistere senza alcun limite.
Eppure, si ritrova a pensare a cose che all'inizio non le erano mai venute
in mente. Come fa con il bucato? Una volta c'erano delle calze ad asciuga-
re su un radiatore - lui aveva visto che lei le guardava e le aveva tolte di
mezzo. Ripone le cose prima delle sue visite, o almeno le fa sparire. Dove
mangia? Le ha detto che non gli piace farsi vedere troppo spesso nello
stesso posto. Deve spostarsi, da un ristorantino, da una bettola all'altra.
Sulla sua bocca queste parole hanno un fascino sordido. Certi giorni è più
nervoso, è guardingo, non esce; ci sono torsoli di mela, in questa o quella
stanza; ci sono briciole di pane sul pavimento.
Dove prende le mele, il pane? È stranamente reticente su certi dettagli -
su cosa succede nella sua vita quando lei non c'è. Forse sente che potrebbe
diminuirlo ai suoi occhi, sapere troppo. Troppi particolari squallidi. Forse
ha ragione. (Tutti quei quadri di donne, nelle gallerie d'arte, sorprese in
momenti intimi. Ninfa dormiente. Susanna e i vecchioni. Donna al bagno,
con un piede in una tinozza di latta - Renoir o Degas? Tutti e due, e tutte e
due donne paffute. Diana e le sue ancelle, un momento prima di cogliere
gli occhi indiscreti del cacciatore. Non c'è mai un quadro intitolato Uomo
che lava calze in un lavandino).
L'avventura ha luogo a una certa distanza. L'avventura fa guardare den-
tro se stessi attraverso una finestra appannata di rugiada. L'avventura vuol
dire lasciare le cose fuori: dove la vita grugnisce e tira su col naso, l'avven-
tura si limita a sospirare. Lei vuole più di questo - non le basta quello che
ha di lui? Vuole tutto il quadro?
Il pericolo potrebbe essere rappresentato dal guardare troppo da vicino e
dal vedere troppo - dal farlo rimpicciolire, e lei con lui. Poi svegliarsi vuo-
ta, trovare che tutto si è esaurito - finito. Non le rimarrebbe nulla. Sarebbe
orbata di tutto.
Una parola antiquata.
Non le è venuto incontro, questa volta. Ha detto che era meglio di no.
Ha lasciato che trovasse la strada da sola. Infilato nel palmo del guanto ha
un quadratino di carta ripiegata con indicazioni criptiche, ma non ha biso-
gno di guardarlo. Può sentirne il leggero calore contro la pelle, come un
misuratore di radio al buio.
Lo immagina mentre la immagina - la immagina che cammina lungo la
strada, più vicina adesso, sta per arrivare. È impaziente, nervoso, può a-
spettare a stento? È come lei? Gli piace ostentare indifferenza - come se
non gli importasse se lei arrivi o meno -, ma è solo una scena, una delle
tante. Per esempio, non fuma più sigarette bell'e pronte, non se le può per-
mettere. Se le fa da solo, con uno di quegli osceni aggeggi di gomma rosa
che ne sfornano tre alla volta; le taglia con una lametta, quindi le infila in
un pacchetto di Craven A. Uno dei suoi piccoli inganni, o vanità; il biso-
gno che ne ha le fa trattenere il respiro.
A volte gli porta delle sigarette, a manciate - generosità, opulenza. Le
ruba dalla scatola d'argento sul tavolino di vetro, ne riempie la borsa. Ma
non lo fa ogni volta. Meglio tenerlo sulle spine, meglio tenerlo affamato.
Lui sta steso supino, sazio, fumando. Se lei vuole delle dichiarazioni,
deve procurarsele prima - assicurarsele prima, come una puttana con il suo
denaro. Ma possono essere misere. Mi sei mancata, potrebbe dire. O: Non
mi basti mai. A occhi chiusi, digrignando i denti per trattenersi; lo sente
contro il proprio collo.
Dopo, le cose deve strappargliele di bocca.
Di' qualcosa.
Cosa?
Quello che vuoi.
Dimmi cos'è che vuoi sentire.
Se lo faccio e poi tu lo dici, non ti crederò.
Allora leggi tra le righe.
Ma non c'è nessuna riga. Non me ne dai nessuna.
Allora lui potrebbe cantare:
Caccialo dentro tutto, caccialo tutto fuori
E poi come il fumo che va su per una ciminiera...
Che ne dici di questa come riga? dirà.
Sei proprio un bastardo.
Non ho mai sostenuto il contrario.
Non c'è da stupirsi che facciano ricorso alle storie.
Giunta al calzolaio gira a sinistra, poi costeggia un isolato, poi due case.
Poi il piccolo palazzo di appartamenti: l'Excelsior. Deve chiamarsi così
dalla poesia di Henry Wadsworth Longfellow. Uno stendardo con uno
strano emblema, un cavaliere che sacrifica tutte le cure terrene per scalare
le altezze. Le altezze di cosa? Del pietismo borghese da salotto.
L'Excelsior è un edificio in mattoni rossi a tre piani, con quattro finestre
a piano e balconi di ferro battuto - più sporgenze che balconi, non c'è spa-
zio per una sedia. Un tempo una spanna al di sopra del resto del quartiere,
ora un luogo dove la gente lotta per non essere cacciata via. Su un balcone
qualcuno ha improvvisato una corda da bucato; uno strofinaccio che sta
diventando grigio vi è appeso come la bandiera di un reggimento sconfitto.
Lei cammina davanti all'edificio, poi all'angolo seguente attraversa. A
Dostları ilə paylaş: |