Margaret atwood



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com'erano). Fazzoletto, blu con orlo bianco; spiccioli; due mozziconi di si-

garetta avvolti in carta oleata - doveva averli messi da parte. Un temperino,

vecchio. Una volta c'erano anche due bottoni, di una camicia, aveva pensa-

to. Non si era offerta di ricucirglieli, perché avrebbe capito che aveva cu-

riosato. Le faceva piacere che lui la credesse fidata.

Una patente, il nome non è il suo. Un certificato di nascita, idem. Nomi

differenti. Le sarebbe piaciuto passarlo al setaccio. Frugarlo. Capovolger-

lo. Svuotarlo.

Lui canta piano, in una voce untuosa, come un cantante sdolcinato della

radio:

Una stanza fumosa, una luna diabolica e tu.



Ti ho rubato un bacio e mi hai promesso amore eterno

Ti ho infilato le mani sotto la gonna,

Mi hai morso un orecchio, abbiamo fatto un macello

È l'alba, tu sei andata. E io sono triste.

Lei ride. Dove l'hai sentita?

È la mia canzone della sgualdrina. Si accorda con quanto ci circonda.

Non è una vera sgualdrina. E neanche dilettante. Non credo che prenda

soldi. La cosa più probabile è che si faccia ricompensare in qualche altro

modo.

Una barca di cioccolatini. Tu ti accontenteresti?



Dovrebbero essere camion interi, dice lei. Io sono piuttosto cara. Il co-

priletto è di vera seta, mi piace il colore - è appariscente, ma molto bello.

Fa un bell'effetto, come i copricandela rosa. Hai inventato qualcos'altro?

Qualcos'altro di cosa?

Della mia storia.

La tua storia?

Sì. Non è per me?

Oh sì, fa lui. Naturalmente. Non penso ad altro. Mi tiene sveglio la notte.

Bugiardo. Ti annoia?

Nulla che ti faccia piacere potrebbe mai annoiarmi.

Dio, come sei galante. Dovremmo avere più spesso asciugamani rosa.

Molto presto bacerai la mia scarpina di cristallo. Ma a ogni modo continua.

Dov'ero rimasto?

La campana era suonata. La gola era stata tagliata. La porta si stava a-

prendo.

Oh. E va bene.



Lui dice: La ragazza di cui abbiamo parlato ha sentito aprire la porta. In-

dietreggia contro il muro, avvolgendosi strettamente nel broccato rosso del

Letto di Una Notte. La stoffa ha un odore salmastro, come un acquitrino

salato con la bassa marea: la paura prosciugata di quelle che l'hanno prece-

duta. È entrato qualcuno; si sente il rumore di un oggetto pesante trascina-

to sul pavimento. La porta si richiude; la stanza è nera come petrolio. Per-

ché non c'è una lampada, una candela?

Lei allunga le mani davanti a sé per proteggersi, e si ritrova la sinistra af-

ferrata e tenuta da un'altra mano: tenuta gentilmente e senza coercizione. È

come se le venisse rivolta una domanda.

Non può parlare. Non può dire: Non posso parlare.

L'assassino cieco lascia cadere sul pavimento il suo velo da donna. Te-

nendo la mano della fanciulla, si siede sul letto accanto a lei. Intende anco-

ra ucciderla, ma può farlo più tardi. Ha sentito parlare di queste fanciulle

segregate, tenute lontane da tutti fino all'ultimo giorno della loro vita; è in-

curiosito. In ogni caso è una specie di dono, e tutto per lui. Rifiutare un

simile dono sarebbe come sputare in faccia agli dei. Sa che dovrebbe muo-

versi in fretta, finire il lavoro, sparire, ma c'è ancora molto tempo per tutto

ciò. Sente il profumo di cui l'hanno cosparsa; sa di feretri, quelli di giovani

donne morte nubili. Dolcezza andata sprecata.

Non rovinerà niente, niente che sia stato comprato e pagato: il falso Si-

gnore dell'Oltretomba probabilmente è già venuto e andato via. Avrà tenu-

to la sua cotta di maglia arrugginita? È più che probabile. È entrato dentro

di lei con rumore metallico come una pesante chiave di ferro, si è rigirato

nella sua carne, l'ha squarciata. Lui ricorda fin troppo bene la sensazione.

Farà qualunque altra cosa, ma non quello.

Si porta la mano di lei alla bocca e vi passa sopra le labbra, non esatta-

mente un bacio ma un segno di rispetto e di omaggio. Misericordiosa e

preziosissima, dice - la consueta formula con cui i mendicanti si rivolgono

a una possibile benefattrice -, a condurmi in questo luogo è stata la fama

della tua bellezza, sebbene il solo fatto di essere qui potrebbe costarmi la

vita. Non posso vederti con gli occhi, perché sono cieco. Mi permetterai di

vederti con le mani? Sarebbe un'ultima gentilezza, e forse lo sarebbe anche

per te.


Non è stato schiavo e venduto nei bordelli per niente: ha imparato come

adulare, come mentire in modo credibile, come ingraziarsi il prossimo. Le

mette le dita sul mento e aspetta finché, dopo un attimo di esitazione, lei

annuisce. Può sentire cosa sta pensando: Domani sarò morta. Si chiede se

indovini il vero motivo della sua venuta.

Alcune delle cose migliori vengono fatte da coloro che non sanno a che

santo votarsi, che non hanno tempo, che capiscono l'esatto significato della

parola impotente. Questi fanno a meno di calcolare rischi e vantaggi, non

pensano al futuro, sono costretti a prendere di petto il presente. Gettati in

un precipizio, o si cade o si vola; ci si aggrappa a qualsiasi speranza, per

quanto inverosimile; per quanto - se posso usare una parola fin troppo

sfruttata - miracolosa. Ciò che intendiamo con questo è: Nonostante tutto.

Così è quella notte.

L'assassino cieco comincia a toccarla molto lentamente, con una sola

mano, la destra - la mano fidata, la mano del coltello. Gliela passa sul viso,

giù lungo la gola; quindi aggiunge la mano sinistra, la mano infida, e le usa

tutte e due insieme, con tenerezza, quasi forzando una serratura della mas-

sima fragilità, una serratura fatta di seta. È come essere accarezzata dal-

l'acqua. Lei trema, ma non come prima, di paura. Dopo un po' lascia scivo-

lare giù il broccato rosso, prende la mano di lui e la guida.

Il tatto viene prima della vista, prima della parola. È il primo linguaggio

e l'ultimo, e dice sempre la verità.

Ecco come la ragazza che non poteva parlare e l'uomo che non poteva

vedere si innamorarono.

Mi sorprendi, dice lei.

Veramente? fa lui. E perché? Però mi piace sorprenderti. Si accende una

sigaretta, gliene offre una; lei fa segno di no con la testa. Lui fuma troppo.

Sono i nervi, nonostante le sue mani ferme.

Perché hai detto che si sono innamorati, dice lei. Ti sei preso gioco di

questo concetto abbastanza spesso - come di una superstizione fuori della

realtà, borghese, fondamentalmente marcia. Un sentimento malaticcio, l'al-

tisonante giustificazione vittoriana per una sensualità rispettabile. Ti stai

rammollendo?

Non criticare me, critica la storia, dice lui, sorridendo. Certe cose succe-

dono. Ci sono testimonianze di innamoramenti, o quanto meno di questa

parola. Comunque, ho detto che stava mentendo.

Non puoi svicolare in questo modo. Mentiva solo all'inizio. Poi hai cam-

biato le carte in tavola.

E va bene. Ma dovrebbe esserci un modo più freddo di guardare la cosa.

Quale cosa?

L'affare dell'innamorarsi.

Da quando in qua è un affare? dice lei irritata.

Lui sorride. Questo concetto ti disturba? Troppo commerciale? La tua

coscienza ne sarebbe scossa, è questo che stai dicendo? Ma c'è sempre uno

scambio, no?

No, dice lei. Non c'è. Non sempre.

Si potrebbe dire che ha preso quanto ha potuto. Perché non avrebbe do-

vuto? Non aveva scrupoli, la sua esistenza era mors tua vita mea e lo era

sempre stata. O si potrebbe dire che erano entrambi giovani, perciò non

conoscevano nulla di meglio. I giovani di solito scambiano il desiderio per

amore, sono infestati da ogni genere di idealismo. E non ho detto che poi

non la uccise. Come ho fatto notare, era soltanto interessato.

Così hai avuto paura, dice lei. Abbandoni, sei un codardo. Non andrai

fino in fondo. Stai all'amore come una che prima te la fa annusare e poi

non te la dà sta allo scopare.

Lui ride, una risata sorpresa. È la volgarità delle parole, è spiazzato, c'è

finalmente riuscita? Modera il linguaggio, signorina.

Perché dovrei? Tu non lo fai.

Io sono un cattivo esempio. Diciamo che potrebbero abbandonarsi - ab-

bandonarsi alle loro emozioni, se vuoi metterla così. Potrebbero rotolarsi

nelle loro emozioni - vivere quell'attimo, sprizzare poesia da tutte le parti,

bruciare la candela, vuotare il calice, ululare alla luna. Il loro tempo si sta-

va esaudendo. Non avevano niente da perdere.

Lui sì. O certamente lo pensava!

E va bene. Lei non aveva niente da perdere. Soffia fuori una nuvola di

fumo.


Non come me, fa lei, suppongo sia questo che vuoi dire.

Non come te, cara, dice lui. Come me. Io sono quello che non ha niente

da perdere.

Lei dice: Ma tu hai me. Io sono qualcosa.

The Toronto Star, 20 agosto 1935

STUDENTESSA DELLA BUONA SOCIETÀ

RITROVATA SANA E SALVA

SPECIALE PER LO STAR

Ieri la polizia ha interrotto le ricerche di Laura Chase, la studen-

tessa quindicenne della buona società scomparsa più di una setti-

mana fa e finalmente ritrovata al sicuro presso amici di famiglia, i

signori E. Newton-Dobbs, nella loro residenza estiva di Musoka.

Il noto industriale Richard E. Griffen, cognato della signorina

Chase, ha parlato al telefono ai giornalisti a nome della famiglia.

«Io e mia moglie siamo molto sollevati» ha detto. «È stato solo un

equivoco, causato da una lettera consegnata in ritardo dalla posta.

La signorina Chase aveva fatto dei programmi per le vacanze di

cui credeva che fossimo al corrente, come pure i suoi ospiti, i qua-

li non hanno l'abitudine di leggere i giornali quando sono in va-

canza, altrimenti questo pasticcio non sarebbe mai accaduto.

Quando sono tornati in città e si sono resi conto della situazione,

ci hanno telefonato immediatamente».

Interrogato sulle voci secondo cui la signorina Chase sarebbe

scappata di casa e quindi localizzata in strane circostanze al parco

dei divertimenti di Sunnyside Beach, il signor Griffen ha dichiara-

to di non sapere chi sia il responsabile di queste malevole inven-

zioni, ma che si sarebbe fatto carico di scoprirlo. «È stato un nor-

male equivoco, come può succedere a tutti» ha affermato. «Mia

moglie e io siamo felici che sia sana e salva, e ringraziamo since-

ramente la polizia, i giornali e il pubblico che ha seguito con pre-

occupazione la vicenda per il loro aiuto». La signorina Chase si è

detta confusa dalla pubblicità, e rifiuta di rilasciare interviste.

Sebbene non siano stati causati danni permanenti, queste non

sono certo le prime serie difficoltà provocate dal mal funziona-

mento delle consegne postali. Il pubblico merita un servizio su cui

poter contare ciecamente. I funzionari statali dovrebbero prender-

ne nota.

L'assassino cieco: Per strada

Lei cammina per strada, sperando di sembrare una donna qualificata a

camminare da sola per strada. O almeno in quella strada. Ma non lo è. È

vestita nel modo sbagliato, con il cappotto sbagliato. Dovrebbe portare un

foulard in testa, annodato sotto il mento, un cappotto sformato e consuma-

to alle maniche. Dovrebbe apparire scialba e trasandata.

Qui le case sono guancia a guancia. Un tempo erano casette per la servi-

tù, una fila dietro l'altra, ma ora ci sono meno servitori e i ricchi provvedo-

no in altro modo. Mattoni fuligginosi, due orizzontali, due verticali, le la-

trine fuori, sul retro. Alcune hanno resti di orti nei minuscoli prati sul da-

vanti - un filare di pomodori anneriti, un palo di legno con fili penduli. Gli

orti non possono venir su bene - c'è troppa ombra, la terra è troppo piena di

cenere. Ma perfino qui gli alberi autunnali sono stati generosi, le foglie ri-

maste sono gialle, arancioni e vermiglie, e di un rosso più intenso, come

fegato fresco.

Dall'interno delle case giungono grida, latrati, un acciottolio o una porta

sbattuta. Voci femminili alzate in preda a una rabbia soffocata, grida inso-

lenti di bambini. Nelle strette verande ci sono uomini su sedie di legno con

le mani penzoloni dalle ginocchia, senza lavoro ma non ancora senza un

tetto, una casa. I loro occhi su di lei, i loro sguardi arcigni che ne fanno un

amaro inventario: i polsi e il collo di pelliccia, la borsetta di lucertola. For-

se sono pigionanti, ammucchiati nelle cantine e negli angoli più strani per

arrotondare e riuscire a pagare l'affitto.

Donne camminano svelte, le teste basse, le spalle incurvate, con involti

di carta marrone. Sposate, probabilmente. Viene in mente la parola stufato.

Devono avere rimediato qualche osso dal macellaio, staranno portando a

casa i tagli più economici, da servire con cavoli flosci. Le sue spalle sono

troppo all'indietro, il suo mento troppo in alto, non ha quell'aspetto abbac-

chiato: quando alzano la testa abbastanza da metterla a fuoco, le loro sono

occhiate di disapprovazione. Devono pensare che sia una prostituta, ma

con scarpe come quelle cosa ci fa quaggiù? Qui è molto al di sotto del suo

livello.

Ecco il bar, all'angolo che aveva detto lui. The Beer Parlour. Là fuori è

riunito un gruppetto di uomini. Nessuno le dice niente quando passa loro

accanto, si limitano a fissarla come da dietro un cespuglio, ma può sentire i

bisbigli, l'odio e il desiderio che si mescolano nelle gole e la seguono come

la scia di una nave. Forse l'hanno presa per una donna impegnata nell'atti-

vità della parrocchia o per qualche altra sussiegosa benefattrice. Che infila

le sue dita pulite nelle loro vite, fa domande, offre avanzi di aiuto condi-

scendente. Ma è vestita troppo bene.

Ha preso un taxi, è scesa tre isolati prima, dove c'era più traffico. Meglio

non diventare una macchietta: chi prenderebbe un taxi da queste parti? Ma

lei è comunque una macchietta. Quello che le serve è un cappotto diverso,

preso a una vendita di beneficienza, appallottolato in una valigia. Potrebbe

andare nel ristorante di un albergo, lasciare il suo cappotto al guardaroba,

scivolare nella toilette delle signore, cambiarsi. Spettinarsi i capelli, sba-

varsi il rossetto. Venire fuori come una donna differente.

No. Non funzionerebbe mai. Tanto per cominciare c'è la valigia; do-

vrebbe uscirci di casa. Dove vai tanto di fretta?

Perciò le tocca fare un numero di prestigio senza cilindro. Contando solo

sulla sua faccia tosta. Ormai ha abbastanza pratica di calma, freddezza,

impassibilità. Un'alzata di entrambe le sopracciglia, lo sguardo candido e

trasparente di un agente segreto. Un viso di pura acqua. Non è questione di

mentire, ma di evitare che diventi necessario farlo. Rendere tutte le do-

mande sciocche in anticipo.

Tuttavia un certo pericolo c'è. Anche per lui: più di prima, le ha detto.

Pensa di essere stato individuato una volta, per strada: riconosciuto. Qual-

che gorilla della Squadra Rossa, forse. Aveva attraversato una birreria af-

follata, era uscito dalla porta sul retro.

Non sa se crederci o no, a quel tipo di pericolo: uomini in vestito scuro

con rigonfiamenti, colletti tirati su, macchine in cerca di preda. Venga con

noi. La portiamo dentro. Stanze nude e luci accecanti. Sembra troppo tea-

trale, oppure come le cose che accadono soltanto nella nebbia, in bianco e

nero. Solo in altri paesi, in altre lingue. O se qui, non a lei.

Se fosse stata presa, lo avrebbe rinnegato prima ancora che il gallo can-

tasse per la prima volta. Lo sa, non ha dubbi, è tranquilla. Comunque l'a-

vrebbero lasciata andare, perché il suo coinvolgimento sarebbe stato visto

come un frivolo passatempo o come una birichinata ribelle, e qualsiasi

scompiglio ne fosse derivato sarebbe stato nascosto. Avrebbe dovuto paga-

re di tasca sua per questo, ma con cosa? È già rovinata: non si può cavare

sangue da una pietra. Si sarebbe isolata, avrebbe chiuso le imposte. Fuori

per il pranzo, in permanenza.

Ultimamente ha avuto l'impressione di essere osservata, anche se ogni

volta che si guarda intorno non c'è mai nessuno. È stata più prudente; è sta-

ta il più prudente possibile. Ha paura? Sì. Quasi sempre. Ma la sua paura

non conta. Anzi, conta. Accresce il piacere che prova con lui; anche il gu-

sto di farla franca.

Il vero pericolo viene da lei stessa. Cosa permetterà, quanto lontano è di-

sposta ad andare. Ma il permettere e l'essere disposti non hanno niente a

che vedere con tutto ciò. Allora dove verrà spinta; dove sarà condotta. Non

ha esaminato i propri motivi. Potrebbero anche non esserci motivi veri e

propri; il desiderio non è un motivo. Non le sembra di avere alcuna scelta.

Un piacere così estremo è anche un'umiliazione. È come essere trascinati

in giro da una corda infame, un guinzaglio attorno al collo. La offende, la

sua mancanza di libertà, e così allunga il tempo che la separa dal piacere,

razionandolo. Non si presenta agli appuntamenti, racconta frottole sul per-

ché non ce l'ha fatta - sostiene di non aver visto i segni di gesso sul muro

del parco, di non avere ricevuto il messaggio - il nuovo indirizzo dell'inesi-

stente negozio di vestiti, la cartolina firmata da una vecchia amica che non

ha mai avuto, la telefonata di qualcuno che ha chiamato il numero sbaglia-

to.


Ma alla fine, ritorna. Non serve a niente resistere. Va da lui per l'amne-

sia, per l'oblio. Gli si consegna, si annulla; entra nell'oscurità del proprio

corpo, dimentica il proprio nome. Vuole immolarsi, anche se per poco. E-

sistere senza alcun limite.

Eppure, si ritrova a pensare a cose che all'inizio non le erano mai venute

in mente. Come fa con il bucato? Una volta c'erano delle calze ad asciuga-

re su un radiatore - lui aveva visto che lei le guardava e le aveva tolte di

mezzo. Ripone le cose prima delle sue visite, o almeno le fa sparire. Dove

mangia? Le ha detto che non gli piace farsi vedere troppo spesso nello

stesso posto. Deve spostarsi, da un ristorantino, da una bettola all'altra.

Sulla sua bocca queste parole hanno un fascino sordido. Certi giorni è più

nervoso, è guardingo, non esce; ci sono torsoli di mela, in questa o quella

stanza; ci sono briciole di pane sul pavimento.

Dove prende le mele, il pane? È stranamente reticente su certi dettagli -

su cosa succede nella sua vita quando lei non c'è. Forse sente che potrebbe

diminuirlo ai suoi occhi, sapere troppo. Troppi particolari squallidi. Forse

ha ragione. (Tutti quei quadri di donne, nelle gallerie d'arte, sorprese in

momenti intimi. Ninfa dormiente. Susanna e i vecchioni. Donna al bagno,

con un piede in una tinozza di latta - Renoir o Degas? Tutti e due, e tutte e

due donne paffute. Diana e le sue ancelle, un momento prima di cogliere

gli occhi indiscreti del cacciatore. Non c'è mai un quadro intitolato Uomo

che lava calze in un lavandino).

L'avventura ha luogo a una certa distanza. L'avventura fa guardare den-

tro se stessi attraverso una finestra appannata di rugiada. L'avventura vuol

dire lasciare le cose fuori: dove la vita grugnisce e tira su col naso, l'avven-

tura si limita a sospirare. Lei vuole più di questo - non le basta quello che

ha di lui? Vuole tutto il quadro?

Il pericolo potrebbe essere rappresentato dal guardare troppo da vicino e

dal vedere troppo - dal farlo rimpicciolire, e lei con lui. Poi svegliarsi vuo-

ta, trovare che tutto si è esaurito - finito. Non le rimarrebbe nulla. Sarebbe

orbata di tutto.

Una parola antiquata.

Non le è venuto incontro, questa volta. Ha detto che era meglio di no.

Ha lasciato che trovasse la strada da sola. Infilato nel palmo del guanto ha

un quadratino di carta ripiegata con indicazioni criptiche, ma non ha biso-

gno di guardarlo. Può sentirne il leggero calore contro la pelle, come un

misuratore di radio al buio.

Lo immagina mentre la immagina - la immagina che cammina lungo la

strada, più vicina adesso, sta per arrivare. È impaziente, nervoso, può a-

spettare a stento? È come lei? Gli piace ostentare indifferenza - come se

non gli importasse se lei arrivi o meno -, ma è solo una scena, una delle

tante. Per esempio, non fuma più sigarette bell'e pronte, non se le può per-

mettere. Se le fa da solo, con uno di quegli osceni aggeggi di gomma rosa

che ne sfornano tre alla volta; le taglia con una lametta, quindi le infila in

un pacchetto di Craven A. Uno dei suoi piccoli inganni, o vanità; il biso-

gno che ne ha le fa trattenere il respiro.

A volte gli porta delle sigarette, a manciate - generosità, opulenza. Le

ruba dalla scatola d'argento sul tavolino di vetro, ne riempie la borsa. Ma

non lo fa ogni volta. Meglio tenerlo sulle spine, meglio tenerlo affamato.

Lui sta steso supino, sazio, fumando. Se lei vuole delle dichiarazioni,

deve procurarsele prima - assicurarsele prima, come una puttana con il suo

denaro. Ma possono essere misere. Mi sei mancata, potrebbe dire. O: Non

mi basti mai. A occhi chiusi, digrignando i denti per trattenersi; lo sente

contro il proprio collo.

Dopo, le cose deve strappargliele di bocca.

Di' qualcosa.

Cosa?

Quello che vuoi.



Dimmi cos'è che vuoi sentire.

Se lo faccio e poi tu lo dici, non ti crederò.

Allora leggi tra le righe.

Ma non c'è nessuna riga. Non me ne dai nessuna.

Allora lui potrebbe cantare:

Caccialo dentro tutto, caccialo tutto fuori

E poi come il fumo che va su per una ciminiera...

Che ne dici di questa come riga? dirà.

Sei proprio un bastardo.

Non ho mai sostenuto il contrario.

Non c'è da stupirsi che facciano ricorso alle storie.

Giunta al calzolaio gira a sinistra, poi costeggia un isolato, poi due case.

Poi il piccolo palazzo di appartamenti: l'Excelsior. Deve chiamarsi così

dalla poesia di Henry Wadsworth Longfellow. Uno stendardo con uno

strano emblema, un cavaliere che sacrifica tutte le cure terrene per scalare

le altezze. Le altezze di cosa? Del pietismo borghese da salotto.

L'Excelsior è un edificio in mattoni rossi a tre piani, con quattro finestre

a piano e balconi di ferro battuto - più sporgenze che balconi, non c'è spa-

zio per una sedia. Un tempo una spanna al di sopra del resto del quartiere,

ora un luogo dove la gente lotta per non essere cacciata via. Su un balcone

qualcuno ha improvvisato una corda da bucato; uno strofinaccio che sta

diventando grigio vi è appeso come la bandiera di un reggimento sconfitto.

Lei cammina davanti all'edificio, poi all'angolo seguente attraversa. A


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