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MONDONIO 3.5.1. Casa di Domenico Savio



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3.5. MONDONIO

3.5.1. Casa di Domenico Savio


A circa 2 chilometri da Castelnuovo, sulla strada per Gal­lareto e Montechiaro (4 chilometri da Morialdo, per chi segue la strada sulla collina), si incontra Mondonio, paese in cui il 9 marzo 1857 muore Domenico Savio.

Carlo Savio (1815-1891) e Brigida Gajato (1820-1871), sposatisi il 1 marzo 1840, si erano qui trasferiti con i figli, nel febbraio 1853, andando ad abi­tare la prima casa che si incontra, a sinistra, salendo lungo la strada principale del paese. La casa, affittata dai fratelli Bertello, fu abitata dai Savio fino all'anno 1879. I Salesiani la acquistarono nel 1917, pagandola 2000 lire.

Al pian terreno, da destra a sinistra, si incontra la cu­cina (nella parete si intravede il luogo del focolare) che co­munica con la stanza nella quale il 9 marzo 1857 morì Domenico.

Don Bosco ci descrive la morte di Domenico con queste pa­role:


“Dopo aver recitato con lui alcune preghiere, il parro­co era per uscire, quando Savio lo chiamò dicendo: Signor prevosto prima di partire mi lasci qualche ricordo. - Per me, rispose, non saprei più che ricordo lasciarti. - Qualche ricordo, che mi conforti. - Non saprei dirti altro se non che ti ricordi della passione del Signore. - Deo gratias, rispose, la passione di nostro Signor Gesù Cristo sia sem­pre nella mia mente, nella mia bocca, nel mio cuore. Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi in questa ultima agonia; Ge­sù, Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l'anima mia. Dopo tali parole si addormentò e prese mezz'ora di riposo. Indi svegliatosi volse uno sguardo a’ suoi parenti: papà, disse, ci siamo.

- Eccomi, figliuol mio, che ti abbisogna?

- Mio caro papà, è tempo; prendete il mio Giovane prov­veduto (ndr.: si tratta di un manuale di preghiere scritto da don Bosco per i suoi ragazzi) e leggetemi le preghiere della buona morte.

A queste parole la madre ruppe in pianto e si allontanò dalla camera dell'infermo. Al padre pure scoppiava il cuore di dolore, e le lagrime gli soffocavano le parole; tuttavia si fece coraggio e si mise a leggere quella preghiera. Egli ripeteva attentamente e distintamente ogni parola; ma in­fine di ciascuna parte voleva dire da solo: Misericordioso Gesù, abbiate pietà di me. Giunto alle parole: Quando fi­nalmente l'anima mia comparirà davanti a voi, e vedrà per la prima volta lo splendore immortale della vostra maestà; non la rigettate dal vostro cospetto; ma degnatevi di ri­cevermi nel seno amoroso della vostra misericordia, affin­ché io canti eternamente le vostre lodi. Ebbene, soggiun­se, questo è appunto quello che io desidero. Oh caro papà, cantare eternamente le lodi del Signore! Poscia parve prendere di nuovo un po' di sonno a guisa di chi riflette profondamente a cosa di grande importanza. Di lì a poco si risvegliò e con voce chiara e ridente: Addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro, ed io non posso più ricordarmi... Oh! che bella cosa io vedo mai... Così dicendo e ridendo con aria di paradiso spirò colle mani giunte innanzi al petto in forma di croce senza fare il minimo movimento” (DS 117-119).


Dalla stanza in cui morì Domenico (che serviva probabil­mente da dispensa e laboratorio di sartoria per mamma Brigida), una scala in legno conduceva al piano superiore. Ora non esiste più, ma se ne può indovinare la posizione nella luce di una porta che era collocata sulla parete a settentrione e immette­va in un altro vano, al tempo utilizzato come ripostiglio e cantina.

Oggi si sale al piano superiore attraverso una scala, di costruzione più recente, che fa parte della casa vicina. Anche il ballatoio esterno non esisteva.

Al piano superiore, sopra la cucina era collocata la came­ra dei genitori e, accanto, quella dei figli. Il locale che si trova sopra il vano-cantina, e al quale si accede anche dalla strada sul retro della casa, veniva utilizzato da papà Carlo come officina per la sua attività di fabbro.

I coniugi Savio ebbero dieci figli. Sei morirono bambini o giovanissimi: Domenico Giuseppe Carlo (3-18 novembre 1840), san Domenico Giuseppe (1842-1857), Carlo (15-16 febbraio 1844), M. Teresa Adelaide (1847-1859), Giuseppe Guglielmo (1853-1865), Maria Luigia (1863-1864).

Papà Carlo, morta la moglie Brigida Gajato (1871), dopo a­ver accasato le tre figlie Maria Caterina Raimonda (1845-1912), Maria Caterina Elisabetta (1856-1915?) e Maria Firmina Teresa (1859-1933), nel 1878, lasciato il figlio Giovanni Pietro (1850-1894), si trasferì con don Bosco a Valdocco, do­ve morirà il 16 dicembre 1891 all'età di 76 anni.
Di fronte alla casetta si trova il primo monumento dedica­to a Domenico Savio. Fu inaugurato nel 1920 dal card. Gio­vanni Cagliero, che era stato assistente e maestro di musica di Domenico all'Oratorio di Valdocco.


3.5.2. Chiesa parrocchiale e scuola


Inerpicandosi lungo la strada che costeggia la casa di Do­menico Savio si arriva alla chiesa parrocchiale, dedicata a san Giacomo. Qui Domenico, fino alla sua partenza per Valdocco e poi durante i brevi giorni di vacanza, partecipa ogni giorno alla Messa. Preferisce pregare davanti ad una statua della Ma­donna del Rosario, collocata in una nicchia in fondo alla chie­sa, a destra di chi entra. Oggi quella statua non c'è più: nel 1863 è stata trasferita nella chiesetta di Santa Maria di Rasetto, località vicina a Castelnuovo, ove abitava il nonno di Domenico. La festa patronale del paese si celebrava il giorno della Madonna del Rosario, la prima domenica di ottobre, come ai Becchi aveva iniziato a fare don Bosco dal 1848. È proprio il lunedì 2 ottobre 1854, giorno successivo alla festa, che papà Carlo e Domenico - per inte­ressamento di don Cugliero, maestro di scuola nel paese - si recarono ai Becchi per incontrare don Bosco.
Il parroco di Mondonio don Domenico Grassi (1804-1860), assiste il Savio durante l'ultima malattia, lo confessa, gli porta il santo Viatico e il mattino 9 marzo 1857 gli amministra il sacramento degli infermi e la benedizione papale. Quella stessa sera, verso le venti e trenta, visita Domenico per l'ultima volta e, dopo aver recitato con lui alcune preghiere, richiesto di un pensiero come ricordo, raccomanda al morente di pensare alla passione del Signore.
Poco oltre la facciata della chiesa, una stradicciola che sale a sinistra conduce davanti ad un edificio, che dall'Otto­cento fino a tempi relativamente recenti è stato utilizzato per la scuola e­lementare del paese. Domenico Savio la frequenta dal febbraio 1853 al giugno 1854, sotto la guida del maestro don Giuseppe Cugliero.

Qui avviene il fatto ricordato nella biografia scritta da don Bosco. Accusato ingiustamente di una grave mancanza disci­plinare, subisce in silenzio i rimproveri e il castigo del mae­stro, per evitare l'espulsione dei veri colpevoli. Sulla porta della scuoletta una lapide, collocata nel 1952, ricorda il fatto (però, la data di frequenza alla scuola indicata sulla lapide è errata: non 1852, ma 1853).




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