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3.5.3. Cappella cimiteriale


Poco al di sotto della casa dei Savio, presso la strada provinciale, esiste ancora la cappella dell'antico cimitero di Mondonio nel quale furono sepolti Domenico, i suoi fratellini e la mamma. Nel cimitero (che è stato smantellato nel 1942) i resti di Domenico rimasero sino al 1914, quando, all'aprirsi del processo apostolico per la causa di beatificazione, furono trasferiti a Torino in Maria Ausiliatrice.

Domenico era stato interrato in una semplice fossa. Due anni dopo, un pio signore di Genova, che ne aveva letta la bio­grafia scritta da don Bosco (1859), ammirato per le sue virtù, fece collocare su quella tomba una piccola lastra di marmo con questa iscrizione: “Domenico Savio - modello di virtù - ai gio­vanetti - morto - il nove marzo - MDCCCLVII - in età d'anni quindici”. Nel 1866 la salma, riesumata dalla fossa in piena terra, fu composta in una cassa nuova e deposta in un loculo entro il muro posteriore della cappella, all'altezza della base dell'altare. La lapide del signore genovese venne fissata sulla stessa parete esterna. Oggi la piccola lastra è stata collocata nel giardinetto dietro la cappella, sul luogo della primitiva sepoltura. Nel 1907, cinquantesimo anniversario della morte, le spoglie del giovane furono ricomposte in un sarcofago in marmo bianco ancora visibile nella cappella. L'iscrizione latina, dettata dal salesiano don Giovanni Battista Francesia (1838-1930), suo antico maestro, suona così: “Hic - in pace Christi quiescit - Dominicus Savio - Joannis Bosco sac. - alumnus piis­simus - anno MCMVII - ad ejus excessu L”, cioè: “Qui nella pace di Cristo riposa Domenico Savio, piissimo alunno del sac. Giovanni Bosco. 1907, cinquantesimo della sua morte”. Al di sotto è riportato un versetto tratto dal Siracide (51, 35): “Modicum laboravi et inveni mihi multam requiem” (Faticai per un poco ed ho trovato molta pace).

La traslazione della salma a Torino nel 1914 fu avventuro­sa. Quando il 19 ottobre autorità religiose e civili si presen­tarono a Mondonio per il trasporto, trovarono tutti gli abitan­ti del paese schierati attorno alla cappella per impedirlo, in atteggiamento minaccioso: non volevano perdere il loro piccolo protettore. Per il momento si procedette alla ricognizione, ri­nunciando al trasporto. Di recuperare la salma fu incaricato allora don Cesare Albisetti, futuro grande missionario, che era alla vigilia della sua partenza per il Brasile. Egli, dalla ca­sa salesiana di Castelnuovo, arrivò a piedi a Mondonio (27 ot­tobre); trovata la cappella aperta, asportò l'urna che nel pri­mo tentativo era già stata estratta dal sarcofago, e la trasfe­rì a Torino con l'aiuto di un automobilista precedentemente av­visato. Gli abitanti di Mondonio si accorsero subito del fatto, ma non giunsero in tempo per impedirlo.


3.6. BUTTIGLIERA D'ASTI


Centro agricolo collocato ai margini della fertile piana chierese a 299 metri sul livello del mare, contava nella prima metà dell'Ottocento 1600 abitanti circa (oggi quasi 2000). Si trova sulla strada che collega Riva di Chieri a Ca­stelnuovo, a 4 chilometri dai Becchi.

3.6.1. La chiesa parrocchiale


La chiesa parrocchiale di san Biagio, che conserva nei mu­ri laterali esterni vestigia della precedente costruzione in stile gotico, risale, nella attuale strutturazione barocca pro­gettata dal Guarini, al 1686. Fu allungata dalla parte del coro e della sacrestia nel 1785 su disegno del chierese Mario Ludovico Quari­ni, del quale è anche lo splendido campanile, terminato nel 1790. La facciata e la decorazione della volta sono recenti (1960-64).

Il Giubileo del 1829 e l’incontro tra Giovannino Bosco e don Calosso


Nel 1829, tra il 5 e il 9 novembre, a Buttigliera si pre­dica un triduo per l'acquisto delle indulgenze legate al Giubi­leo straordinario indetto da Pio VIII. Vi partecipa anche la gente dei paesi vicini e, tra gli altri, don Calosso, nuovo cappellano di Morialdo, e Giovanni Bosco, appena tornato a casa dalla cascina Moglia. Sulla strada del ritorno il sacerdote ha modo di verificare le doti del ragazzo e gli offre il suo aiu­to. Un incontro tra saggezza ed esperienza spirituale dell'an­ziano e fresca recettività dell'adolescente, che si rivelerà provvidenziale e fecondo.

Don Bosco ci descrive il fortunato avvenimento con vivaci­tà di particolari:


“In quell'anno una solenne missione che ebbe luogo nel paese di Buttigliera, mi porse opportunità di ascoltare parecchie prediche. La rinomanza dei predicatori traeva gente da tutte parti. Io pure ci andava con molti altri. Fatta una istruzione ed una meditazione in sulla sera, la­sciavansi liberi gli uditori di recarsi alle case loro.

Una di quelle sere di aprile (ndr.: sappiamo che in realtà si trattava del mese di novembre) mi recava a casa in mezzo alla moltitudine, e tra noi eravi un certo D. Ca­losso di Chieri, uomo assai pio, il quale sebbene curvo dagli anni faceva quel lungo tratto di via per recarsi ad ascoltare i missionari. Desso era cappellano di Murialdo. Il vedere un fanciullo di piccola statura, col capo sco­perto, capelli irti ed inanellati camminare in gran silen­zio in mezzo agli altri, trasse sopra di me il suo sguardo e prese a parlarmi così:

- Figlio mio, donde vieni? sei forse andato anche tu alla missione?

- Sì, signore, sono andato alla predica dei missionari.

- Che cosa tu avrai mai potuto capire! Forse tua Mamma ti avrebbe fatta qualche predica più opportuna, non è ve­ro?

- È vero, mia Madre mi fa sovente delle buone predi­che; ma vado anche assai volentieri ad ascoltare quelle dei missionari e mi sembra di averle capite.

- Se tu sai dirmi quattro parole delle prediche di quest'oggi io ti do quattro soldi.

- Mi dica soltanto se desidera, che io le dica della prima o della seconda predica.

- Come più ti piace, purché tu mi dica quattro parole. Ti ricordi di che cosa si trattò nella prima predica?

- Nella prima predica si parlò della necessità di darsi a Dio per tempo e non differire la conversione.

- E che cosa fu detto in quella predica? soggiunse il venerando vecchio alquanto maravigliato.

- Me ne ricordo assai bene e se vuole gliela recito tutta.

E senza altro attendere cominciai ad esporre l'e­sordio, poi i tre punti (...). Egli mi lasciò continuare per oltre mezz'ora in mezzo alla moltitudine; di poi si fece ad interrogarmi così: - Come è tuo nome, i tuoi pa­renti, hai fatto molte scuole?

- Il mio nome è Gioanni, mio padre morì quando io era ancor bambino. Mia madre è vedova con cinque creature da mantenere. Ho imparato a leggere e un poco a scrivere.

- Non hai studiato il Donato (ndr.: la grammatica lati­na), o la gramatica?

- Non so che cosa siano.

- Ameresti di studiare?

- Assai, assai.

- Che cosa ti impedisce?

- Mio fratello Antonio.

- Perché Antonio non vuole lasciarti studiare?

- Perché non avendo egli voluto andare a scuola, dice che non vuole che altri perda tempo a studiare come egli l'ha perduto; ma se io ci potessi andare, sì che studierei e non perderei tempo.

- Per qual motivo desidereresti studiare?

- Per abbracciare lo stato ecclesiastico.

- E per qual motivo vorresti abbracciare questo stato?

- Per avvicinarmi, parlare, istruire nella religione tanti miei compagni, che non sono cattivi, ma diventano tali, perché niuno di loro ha cura.

Questo mio schietto e, direi, audace parlare fece grande impressione sopra quel santo sacerdote, che mentre io parlava non mi tolse mai di dosso lo sguardo. Venuti intanto ad un punto di strada, dove era mestieri separar­ci, mi lasciò con queste parole: Sta di buon animo; io penserò a te e al tuo studio. Domenica vieni con tua Madre a vedermi e conchiuderemo tutto” (MO 44-47).

La Cresima di Giovanni Bosco


La chiesa parrocchiale vede anche un'altra tappa fondamen­tale della vita cristiana di Giovanni. Egli, all'età di diciot­to anni, vi riceve il sacramento della Confermazione (domenica 4 agosto 1833), insieme a ben 1335 altri cresimandi, per mano di mons. Giovanni Antonio Gianotti (1784-1863), arcivescovo di Sassari, poi di Saluzzo. Padrini di tutti i cresimandi sono il sindaco Giuseppe Marzano e la nobildonna Giuseppina Melyna contessa del Capri­glio.
Il rito è descritto in un’ampia cronaca del parroco dell’epoca, il teologo Giuseppe Vaccarino (1805-1891), che resse la parrocchia di Buttigliera per 59 anni (1832-1891). Il documento, pubblicato dal prof. Elso Gramaglia alla vigilia delle feste centenarie di don Bosco, attesta tra l’altro:

“Dopo le messa di lui e di un altro prete (...) recossi (mons. Gianotti) in casa parrocchiale a prendere il caffè; quindi tornato in chiesa vestito semplicemente di cappa – atteso l’eccessivo calore – colla mitra e pastorale, cantato il Veni Creator, e lette alcune preci rivolto verso i cresimandi, cominciò dare la cresima.

Se ne fecero due fornate: la prima, che era composta si può dire di soli buttiglieresi, durò dalle 8 circa alle 11 e più; la seconda, che cominciò alle 11.30 dopo che Monsignore prese un po’ di respiro in casa della damigella (ndr.: la contessa Melyna), ebbe fine alle ore 2 pomeridiane. Il numero de’ cresimati ascende a 1335, dei quali 618 sono di Buttigliera, 467 di Castelnuovo, 184 di Moriondo, il rimanente di vari altri paesi”.

(Da E. Gramaglia [ed.], La Cresima di Don Bosco a Buttigliera, in Grandangolo 4 [1987] 3, p. 3)



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