La ricostruzione medico legale


Sulle posizioni di Giuseppe CALO’ e Flavio CARBONI



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Sulle posizioni di Giuseppe CALO’ e Flavio CARBONI

Le difese di CALO’ e di CARBONI hanno posto l’accento sui seguenti aspetti.



  1. Sulla prova del mandato omicidiario da parte di CALO’ a CARBONI e sull’avere CALO’ bisogno di CARBONI e CASILLO per eseguire l’omicidio

Preliminarmente, va detto che per dimostrare la penale responsabilità di Giuseppe CALO’ e Flavio CARBONI non è necessario fornire la prova certa di un preventivo accordo contemporaneamente con tutti gli altri partecipi al delitto e, in particolare, “con gli esecutori dell’omicidio”, ma va analizzato il complesso delle condotte poste in essere dagli imputati, collegando gli avvenimenti all’ipotesi d’accusa e verificando se la descritta cadenza temporale del loro agire sia stata espressiva del compimento di una condotta finalizzata a dare attuazione al piano criminoso, dando concretezza al principio “post hoc ergo propter hoc”. Tuttavia, la questione non ha ragione d’essere perché tale prova esiste e si ricava dal collegamento di tutte le risultanze probatorie acquisite, dalla valutazione unitaria del contesto e dall’avere entrambi gli imputati plurimi solidi interessi all’eliminazione del banchiere.

Il giudice preposto ad assicurare la nomofilacchia, in tema di mandato omicidi ario, si è espresso nei seguenti termini:” il mandato generico impartito dal capo di un’organizzazione mafiosa di eliminare tutti i componenti di un clan rivale comporta il necessario concorso dello stesso mandante in tutti gli omicidi commessi, senza che il margine di indeterminatezza inerente a quel mandato possa ritenersi incompatibile con il principio di colpevolezza. Si tratta, infatti, di un incarico relativo a un ambito ben definito di possibili vittime, che, peraltro, non può essere confuso con l’adesione a un generico programma criminale, che ponga tra i propri fini la consumazione di una serie indeterminata di delitti….” (vedi sentenza n. 47739 del 12.11.2003, depositata il 15.12.2003, Sez. 5^, Rv. 227777, Presidente Ietti G. estensore Nappi A., PM Cedrangolo O. vedi all. n. 23). Ne deriva, pertanto, che il mandato omicidi ario non deve necessariamente considerarsi specifico, come si assume da parte della difesa.

Venendo al caso di specie, già si è dimostrato che CARBONI giungeva al Chelsea Cloister in tempo per incontrarsi con le due persone con le quali CALVI è stato visto allontanarsi, che CARBONI sapeva del programmato incontro del banchiere con altri, che l’imputato lo consegnava “nelle mani di coloro che lo ammazzavano materialmente” (come si evince, tra l’altro: dalle indicazioni di GIUFFRE’ e dal comportamento di CARBONI e VITTOR, in uno alle loro menzogne, che assumono una valenza fortemente indiziaria, che non ammette spiegazioni alternative a quella del concorso nel delitto contestato).

Il fatto che CARBONI abbia organizzato l’omicidio d’intesa con CALO’, il quale gliene ha dato mandato, trova un significativo dato di prova nelle dichiarazioni di Antonino GIUFFRÉ. Più in particolare, il collaborante ha spiegato di aver appreso da Lorenzo DI GESU’, a casa di Francesco INTILE, che CALO’ si era fatto “carico” assieme al suo gruppo dell’esecuzione del delitto e che CARBONI, su incarico di Giuseppe CALO’, aveva fatto “da compare” a CALVI, vale a dire “da amico e da boia”. In un primo momento, si era guadagnato “la fiducia del CALVI” perché lo doveva accompagnare nell’ultimo tratto della sua vita e, poi, lo aveva consegnato nelle mani di coloro che lo avevano eliminato (vedi pag. 30, 31, 44 e 46, trasc. ud. 14.12.2005).

Sicché tali indicazioni forniscono un indizio grave sull’essere stato il mandato conferito da CALO’ a CARBONI, dal momento che provengono da persona direttamente coinvolta nell’omicidio, Lorenzo DI GESU’, tenuto a osservare un obbligo di dire il vero al proprio capo mandamento, Francesco INTILE.

Tale dichiarazione è “de relato”, per avere il collaborante appreso l’informazione dal detto DI GESU’ e consente, al contempo, di dimostrare che l’azione di CARBONI è stata consapevolmente diretta all’attuazione del piano criminoso, previa intesa con Giuseppe CALO’. La prova viene qualificata:


  • dai rapporti particolarmente intensi che legavano DI GESU’ sia a CALO’, sia al mandamento di Caccamo. E, infatti, il 29.3.1985, DI GESU’ veniva arrestato con CALO’ a Roma e nell’occasione venivano sequestrate false carte d’identità intestate a CALO’, alla moglie Rosaria MATTALIANO, unitamente al numero di telefono di Palermo di Giuseppe PANZECA, il quale è il nipote di DI GESU’ (vedi pag. 23 – 24 –trascr. 24.5.2006, inerente alla deposizione di Antonio PULIZZOTTO - vedi all. n. 24)

  • dalle indicazioni di MANNOIA, che ha coinvolto CALO’ nel delitto, sottolineando che l’imputato è: portatore di un interesse all’assassinio, il soggetto più interessato al riciclaggio svolto con il contributo di CALVI (colpevole di essersi impossessato di un’ingente somma), al quale partecipava CARBONI; nonché spiegando che con tale omicidio era stato “tolto un grosso peso a CALO (il quale riteneva il banchiere non più affidabile) e che aveva ricevuto così un favore. E chi meglio di DIGESU’ era in grado di contribuire a fare questo tipo di favore?;

  • dalle indicazioni di Carmine ALFIERI, il quale ha dichiarato di aver avuto riferito sia da Pasquale GALASSO, sia da BARDELLINO che l’omicidio CALVI era una cortesia fatta ai siciliani e a Pippo CALO’ da CASILLO (vedi pag. 228, 229, 232, 233, 264, 267, 270 e 285, trasc. 21.2.2006);

  • dalle dichiarazioni confermative di Pasquale GALASSO, il quale ha riferito che nell’uccisione di CALVI “c’era la mafia e Calò Pippo” (vedi pag. 45, trasc. 21.2.2006): “quando è successo il fatto di CALVI il CILLARI mi riferisce che nell’uccisione di CALVI, a suo dire, ammazzato da CASILLO in primis e da altri elementi, ma dietro questo omicidio c’era la mafia e... CALÒ PIPPO, PIPPO”. Precisava che ciò gli era stato detto dopo l’omicidio di CALVI (vedi pag. 46, trasc. 21.2.2006). GALASSO ha, altresì, riferito che anche Flavio CARBONI era coinvolto nella vicenda e nell’omicidio di Roberto CALVI (v. p. 70, 72 e 110, trascrizione 21.02.2006), per averlo appreso da CILLARI, il quale aveva inserito il coinvolgimento dell’imputato nelle motivazioni e nella causale del delitto (v. p. 115 e 116, trascrizione 21.02.2006).

Significative appaiono, al fine di dimostrare la sussistenza dei rapporti intercorrenti proprio con riferimento all’epoca del commesso delitto, le indicazioni rese da Anna PACETTI, la quale ha riferito quanto segue.

Aveva ricevuto delle telefonate dalla Sicilia da persone che cercavano CARBONI o PELLICANI e annotava tutto nei registri che teneva. Aveva l’obbligo di riportare: orario, giorno e per chi era la chiamata (vedi pag. 8, trasc. 22.2.2006). Gli interlocutori non le avevano spiegato il motivo per cui li cercavano e le avevano detto che chiamavano dalla Sicilia (vedi pag. 8 e 9, trasc. 22.2.2006).

Con i dottori CARBONI o PELLICANI, probabilmente con quest’ultimo perché aveva più confidenza, aveva parlato di queste telefonate e le era stato detto “adesso sì ci siamo anche spostati in Sicilia” (vedi pag. 9, trasc. 22.2.2006). Loro trattavano più che altro con la Sardegna, anche per motivi di costruzione. La SOFINT aveva anche degli agganci in Sardegna (vedi pag. 9, trasc. 22.2.2006).

Le telefonate ricevute dalla Sicilia non erano tante ed erano giunte nell’ultimo periodo prima che scoppiasse la questione CALVI (vedi pag. 41, 44 e 45, trasc. 22.2.2006). Poteva dire che chi aveva fatto queste telefonate era siciliano dal prefisso che le veniva dato o dalla località (vedi pag. 45, trasc. 22.2.2006). Era certa della provenienza perché ne aveva parlato con il dottor PELLICANI. Avevano riso assieme e questi le aveva detto: “ecco, ci siamo spostati … dalla Sardegna in Sicilia” (vedi pag. 46, trasc. 22.2.2006). Le veniva contestato, in ricordo della memoria, quanto dichiarato in fase d’indagini, vale a dire: “poco prima della sparizione di CALVI e del coinvolgimento di CARBONI e PELLICANI, credo nei mesi, credo, nei mesi di Maggio e Giugno, iniziarono a giungere delle telefonate dalla SICILIA ed in particolare, credo, da PALERMO, in quanto lasciavano come recapito un numero di telefono con il prefisso, credo, siciliano, cioè PALERMO. I soggetti che erano soliti chiamare cercando di CARBONI ovvero di PELLICANI, ricordo che le volte che non erano presenti questi ultimi il soggetto che chiamava pregava di riferirgli un qualcosa che io ricordo come il nominativo di una località ma che al momento non mi sovviene e poi diceva che scherzava con PELLICANI” (vedi pag. 47, trasc. 22.2.2006); “ricordo inoltre che scherzando con PELLICANI dissi che ora anche con i siciliani avevamo a che fare e questi mi rispose che dopo la SARDEGNA ora toccava alla SICILIA” (vedi pag. 47 e 48, trasc. 22.2.2006).

Il teste confermava tali dichiarazioni.

Le telefonate ricevute dalla Sicilia non erano tante ed erano giunte nell’ultimo periodo prima che scoppiasse la questione CALVI (vedi pag. 41, 44 e 45, trasc. 22.2.2006). Poteva dire che chi aveva fatto queste telefonate era siciliano dal prefisso che le veniva dato o dalla località (vedi pag. 45, trasc. 22.2.20061).

La teste, nel consultare uno stralcio dell’agenda prodotta, al fine di individuare i siciliani che avevano effettuato le telefonate, poneva in rilievo che vi erano copie di pagine che non si vedevano bene (vedi pag. 52, trasc. 22.2.2006).

Tali indicazioni non possono essere considerate inattendibili per il fatto che non sono state rinvenute le tracce delle telefonate nell’agenda ove il teste ha dichiarato di averle riportate. Infatti, dall’analisi dell’agenda - estrapolata dalla raccolta degli atti dalla Commissione P2 nel volume III tomo 21, acquisita in copia dagli atti della Commissione P2 e prodotta nel corso del processo di primo grado - risulta che dalle pagine relative ai mesi di Maggio e Giugno 1982 mancano i fogli corrispondenti ai giorni 5, 6 e 8 Giugno e ai giorni 1, 2, 8 e 9, 22, 23, 29 e 30 Maggio. (vedi all. n. 25)

Le telefonate provenienti dalla Sicilia vanno accostate e interpretate alla stregua delle sopra richiamate dichiarazioni di Antonino GIUFFRE’, il quale ha riferito che:


    • Flavio CARBONI si era recato a Termini Imerese per incontrare Pippo CALO’ (vedi pag. 19, trasc. 19.1.2006);

    • CALO’ aveva trovato rifugio “come latitante di Cosa Nostra nel territorio del suo mandamento tra la fine del ’80 e gli inizi del 1981” (vedi pag. 26, trasc. 14.12.2005);

    • tra CALO’ e Ciccio INTILE vi era un ottimo rapporto;

    • Lorenzo DI GESU’ è stato coinvolto nell’omicidio di Roberto CALVI.

È del tutto consequenziale (per la contestualità temporale, per la provenienza dalla Sicilia delle telefonate, per l’appartenenza di DI GESU’ al mandamento palermitano di Caccamo e per gli stretti legami di CALO’ con DI GESU’ e il mandamento di Caccamo) collegare tali circostanze alle telefonate giunte alla SOFINT, a partire dai mesi di Maggio – Giugno, e alle parole di PELLICANI secondo le quali si erano spostati dalla Sardegna alla Sicilia, di cui ha parlato Anna PACETTI. È gioco forza ritenere che tali ultime condotte riferite da PACETTI si inquadrino nello scenario dell’organizzazione del piano delinquenziale, volto a eliminare Roberto CALVI, che necessariamente richiedeva contatti tra CARBONI e i propri complici e che trova nelle interrelazioni finanziarie CARBONI – CALO’, un “humus” su cui essere costruito ed elaborato.

Si noti che anche Gaspare MUTOLO ha detto espressamente che CALO’ si era fatto carico di far eseguire l’omicidio (vedi p. 157 e 158, trasc. 8.2.2006) e che il ruolo svolto da CARBONI ha trovato piena conferma nel suo comportamento posto in essere nell’ultimo periodo di vita fino al 18 Giugno e nei giorni seguenti sino al suo arresto in Svizzera il 30.07.1982.

Non si può formulare l’ipotesi, come fa il decidente, che CARBONI “ignorasse quali fossero le reali intenzioni” delle persone con le quali il banchiere dovesse incontrarsi, circostanza solo astrattamente possibile considerando un occasionale incontro a Londra tra CALVI e l’imputato, da escludersi, invece, radicalmente, nel caso concreto in quanto del tutto inverosimile se calata nel coacervo delle condotte precedenti, concomitanti e successive di Flavio CARBONI. Solo la visione atomistica di un dato di prova e la mancanza del ricorso alla prova logica può lasciare aperto un dubbio ragionevole che avvalori una tale ipotesi, che resta anche astrattamente la meno probabile e che, in concreto, va radicalmente esclusa.

Va aggiunto che un autorevole appartenente alla c.d. Banda della Magliana, Claudio SICILIA ha tratteggiato l’esistenza di rapporti che rendono del tutto plausibile il concorso di CALO’, CARBONI e CASILLO nell’omicidio del banchiere. E, infatti, egli ha riferito (vedi verbale del 19.11.1986 al PM di Roma) che CARBONI e Vincenzo CASILLO avevano quale comune amico Ernesto DIOTALLEVI, esponente della malavita romana.

Del resto, la corte di I grado ha sostenuto che “non può escludersi che “Carboni ignorasse quali fossero le reali intenzioni di quelle persone”, ma non ha spiegato il perché in modo convincente. È, invece, da escludersi, va ribadito, l’ipotesi prospettata dal giudice di prime cure sulla base di elementi concreti riguardanti i comportamenti di CARBONI e VITTOR. Ma come, VITTOR è adibito alla sicurezza e all’assistenza di CALVI. Arrivano due persone a prelevarlo, CALVI per tutta la notte non rientra in albergo e VITTOR e CARBONI, invece di darsi da fare per sapere che fine ha fatto, uno dorme tranquillamente tutta la notte e l’altro quando riesce a realizzare l’obiettivo per il quale ha detto di aver raggiunto CALVI a Londra e giunge al Chelsea Cloister omette di incontrarlo per dirgli che aveva trovato un nuovo alloggio. CARBONI allontana nel tempo il rientro di VITTOR al Chelsea Cloister, passeggiando in direzione opposta al residence, andandosene a dormire in un altro albergo nei pressi dell’aeroporto, fatto prenotare il 17 sera dai MORRIS da CARBONI con il nome di Michaela KLEINSZIG, per andarsene a Edimburgo il giorno dopo. Il “non può escludersi che…” della Corte costituisce un assioma disancorato dai fatti e dalla logica più elementare.




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